Libertà e regole, nella vita come nello sport: in un testo del 1985, la riflessione
del cardinale Ratzinger sui Mondiali di calcio
“Il fenomeno di un mondo entusiasta per il calcio potrà offrirci qualcosa di più di
un solo divertimento”: è quanto sottolineava, nel 1985, il cardinale Joseph Ratzinger
in un testo scritto proprio sull’impatto di eventi come i Mondiali di calcio. L’allora
prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede scriveva che “il calcio insegna
uno scontro pulito in cui la regola comune alla quale il gioco si sottomette continua
ad essere ciò che unisce e vincola anche nella posizione di avversari”. E più avanti
indicava nella libertà congiunta alle regole l’insegnamento più importante che possiamo
trarre dal gioco del calcio. Venticinque anni dopo, le riflessioni del futuro Pontefice
appaiono quanto mai attuali, in questi giorni contraddistinti dalle emozioni del Mondiale
di calcio in Sud Africa. Il commento di don Mario Lusek, direttore dell’Ufficio
Cei per la pastorale dello sport, intervistato da Alessandro Gisotti:
R.
– Il Papa aveva intitolato questo testo “Cercare ciò che sta in alto” e sicuramente
questo è uno degli obiettivi del calcio, cioè guardare oltre l’evento, come per qualsiasi
altro sport, ma soprattutto recuperare quella dimensione di gioco che lo fa diventare
metafora della vita. E’ quasi un modo per diventare adulti, per crescere, perché è
all’interno dello sport, di qualsiasi sport, ma in modo particolare del calcio, che
pensiamo alla forma del come ci si prepara, del come ci si allena, del come ci si
appassiona e ci si introduce in una fatica incredibile per diventare “qualcuno”, ma
nello stesso tempo per fare sì che un gioco vada in profondità. E allora in questo
palcoscenico, che sono i Campionati del mondo in questo momento, e che è il calcio
ogni domenica, si può veicolare quell’esperienza di libertà che ti fa vivere poi con
il bisogno della regola, perché la regola che cos’è? E’ una disciplina ulteriore che
ti porta ad assumere atteggiamenti e comportamenti che sono consoni a quell’esperienza.
D. - Nella sua riflessione, l’allora cardinale Ratzinger
metteva anche l’accento sul fatto che il successo del singolo è legato al successo
dell’insieme dei giocatori. Un elogio quasi teologico del gioco di squadra...
R.
– Del gioco di squadra, esatto. Questa è la caratteristica che noi vogliamo veicolare
sempre, anche nei rapporti educativi con i nostri ragazzi: il gioco di squadra, il
fare squadra insieme, perché anche nel gioco della vita bisogna fare squadra. Ognuno
ha i suoi ruoli. C’è l’allenatore, che ha una funzione di educatore, e così nella
vita c’è la famiglia, ci sono i genitori, ci sono gli insegnanti, ci sono i vescovi,
ci sono i sacerdoti. Diventa veramente metafora di un accompagnamento verso il successo.
Successo nella vita non significa soltanto arrivare primo in qualche ambito professionale
o altro, ma significa proprio realizzare se stessi in profondità.
D.
– I Mondiali in Sudafrica sono anche una bella novità – per la prima volta un campionato
mondiale di calcio in Africa – e si vede anche un’immagine diversa, positiva, una
storia vincente dal continente africano...
R. – Sicuramente
sì. E’ soprattutto il "laboratorio" Sudafrica che ha riportato al continente africano
quella dimensione, non solo di democrazia, di progresso, di autosviluppo, ma anche
di promozione umana abbastanza diffusa. Quindi, lo sport può diventare, se correttamente
inteso e correttamente gestito, anche un fattore di sviluppo sociale, di autosviluppo
anche dei popoli, attraverso l’entusiasmo e la passione di stare un poco al centro
del mondo, di essere osservati. Ed essendo osservati si è anche aiutati, accompagnati
nel cammino di riscatto dalla povertà, dal sottosviluppo e da quanto altro può umiliare
un continente come quello africano.