2010-06-15 15:23:43

Mons. Marchetto: si è ridotta la tendenza al riconoscimento dei diritti dei rifugiati. Allarme dell'Acnur: 43 milioni di persone in fuga da guerre e persecuzioni


Alla fine del 2009, sono state più di 43 milioni le persone costrette ad abbandonare le loro case per fuggire da guerre e persecuzioni. Il numero complessivo di rifugiati è di oltre 15 milioni. E’ quanto emerge dal rapporto 2010 dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur). Il servizio di Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3

 

Lo studio pubblicato oggi, in vista della Giornata Mondiale dei Rifugiati che si celebrerà il prossimo 20 giugno, evidenzia due preoccupanti tendenze: nel 2009 il numero di persone costrette alla fuga è il più alto dalla metà degli anni novanta e quello dei rifugiati rientrati spontaneamente a casa è il più basso degli ultimi venti anni. Ad aggravare lo scenario si aggiunge la mancanza di segnali che facciano presagire una soluzione per i principali conflitti in corso, come quelli in Afghanistan, Somalia e Repubblica Democratica del Congo. Altri conflitti che sembravano vicini ad una svolta pacifica, come quelli in Sud Sudan e in Iraq, sono tuttora stagnanti. Le conseguenze sono allarmanti: nel 2009 i rifugiati che sono rientrati spontaneamente nelle loro case sono 251 mila. La media annuale nell’ultimo decennio era invece di circa un milione di rimpatriati. La maggior parte dei rifugiati sono poi in esilio da cinque o più anni. Sono, in particolare, almeno 5 milioni e mezzo i rifugiati di competenza dell’Acnur in situazioni di esilio protratto. E’ cresciuta inoltre del 4% la percentuale di sfollati, ovvero di persone in fuga da conflitti all’interno del proprio Paese. Questo incremento è dovuto soprattutto al perdurare di scontri nella Repubblica Democratica del Congo, in Pakistan e Somalia. Tra i Paesi dell’Unione Europea, la Germania accoglie quasi 600 mila rifugiati e il Regno Unito oltre 270 mila. In Italia, il dato è nettamente più basso: i rifugiati sono circa 55 mila. Nel rapporto si sottolinea che in Italia la diminuzione nel 2009 di domande d’asilo di quasi la metà rispetto all’anno precedente può essere anche “attribuita alle politiche restrittive attuate nel Canale di Sicilia” dalle autorità italiane e libiche. Questo netto calo – si osserva nel rapporto – dimostra come “i respingimenti, anziché contrastare l’immigrazione irregolare abbiano gravemente inciso sulla fruibilità del diritto di asilo in Italia”. 



L’accoglienza, e non il respingimento, risponde ai principi del diritto umanitario. A ribadirlo, a pochi giorni dalla Giornata Mondiale dei Rifugiati del 2010, è l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti. Il presule, intervistato da Fabio Colagrande, si sofferma sulla drammatica situazione dei rifugiati:RealAudioMP3

 

R. - Se guardiamo ai numeri - certo - sono impressionanti. Direi inoltre che c’è un po’ la tendenza al restringimento di quello che è il riconoscimento dei diritti, nel concreto, dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Per quanto riguarda l’Europa, ci troviamo in alterne vicende. Almeno c’è questo Fondo europeo per i rifugiati. Con una recente risoluzione del Parlamento europeo, viene espresso il desiderio di contribuire a finanziare i Paesi che ospitano i rifugiati, anche se sono solo 12 gli Stati membri che hanno aderito a questo fondo. La preoccupazione è che i flussi sono misti: non ci sono cioè solo migranti - diciamo economici - ma ci sono anche migranti forzati. Questo crea certamente delle difficoltà ai Paesi che devono accogliere, ma crea anche difficoltà per noi. Anche i finanziamenti non è facile che raggiungano i loro scopi. I fondi disponibili non consentiranno poi di raggiungere tutti i profughi e tutti i rifugiati che ci sono e che - riferendoci all’Europa - dovrebbero essere circa mezzo milione. C’è, quindi, qualche aspetto che migliora e c’è qualche aspetto che continua ad essere grave.

 

 

D. - Eccellenza, la chiusura dell’Ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati di Tripoli, in Libia, è un segnale preoccupante per quanto riguarda questo tema?

 

 

R. - In questo contesto, è giunta a rattristarci proprio la notizia che in Libia sono stati chiusi i battenti dell’Alto Commissariato. Questo rende ancor più grave la questione dei respingimenti nel Mar Mediterraneo ed anche più difficile l’applicazione del principio del "non-refoulement"(non respingimento) in tale ambito. E’ di questi giorni, ancora, l’ultimo caso di un barcone, anche con un bambino di pochi mesi a bordo, in cui c’è stato - diciamo - un rimpallo di competenze e responsabilità anche tra Italia e Libia. Dunque c’è una realtà che ci preoccupa. Personalmente mi associo all’auspicio di Franco Frattini, ministro italiano degli Affari Esteri, di un dialogo per la riapertura di questo canale, che era esistente in Libia dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Vorrei anche aggiungere che in Africa vige la Convenzione dell’Organizzazione dell’Unità Africana del 10 settembre del 1969, che regola aspetti specifici del problema dei rifugiati in quel continente, in aggiunta ad elementi della Convenzione del ’51 e del Protocollo del ’67, che dilatano beneficamente la definizione di rifugiato. Anche di recente poi l’Unione Africana si è riunita per discutere dei rifugiati in una prospettiva positiva.








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