Mons. Tomasi all'Ilo di Ginevra: tutelare il lavoro domestico con leggi che garantiscano
diritti e dignità
Tra le categorie di lavoratori più “vulnerabili”, per le quali gli Stati devono dotarsi
di legislazioni più adeguate, figurano certamente gli impiegati nel settore domestico.
Lo ha affermato in un suo recente intervento alla 99.ma sessione della Conferenza
internazionale del lavoro (Ilo), l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore
permanente della Santa Sede presso l’Onu di Ginevra. Al microfono di Alessandro
De Carolis, il presule spiega come i lavoratori domestici, in larga maggioranza
immigrati, siano esposti a un “doppio rischio”:
R.
– Io mi sono espresso in questi termini, dicendo che è doppiamente a rischio questa
categoria di lavoro perché in molti casi sono delle persone che vengono o da ambienti
rurali poveri o da Paesi in via di sviluppo e che dunque non hanno garanzie affinché
il loro contratto sia corretto, perché abbiano un minimo di preparazione linguistica
o culturale per adattarsi al nuovo posto di lavoro. E poi, quando arrivano, la natura
stessa del lavoro domestico è dispersiva. Sono un po’ alla mercé delle famiglie dove
vanno a lavorare: se la famiglia è interessata, hanno delle condizioni accettabili,
altrimenti ci sono seri rischi - e questo capita in molte parti – di restare vittime
abusi sessuali o di mancanza di rispetto di un minimo salario.
D.
– Come si tutela questa categoria di lavoratori?
R.
– Il passo importante che è stato fatto in questa 99.ma Conferenza dell'Organizzazione
internazionale del lavoro è la decisione, presa a grande maggioranza, di preparare
una nuova Convenzione internazionale per la protezione specifica di queste persone
che lavorano nell’ambito domestico, in modo che nella fase di preparazione, nella
formulazione del contratto, nella regolamentazione delle agenzie di reclutamento,
e creando addirittura dei meccanismi che consentano di fare appello in caso di emergenza
o di abuso, vi siano delle misure pratiche, concrete, che aiutino queste persone a
inserirsi nel lavoro normale.
D. - Nel corso del suo
intervento, lei ha messo in risalto altre categorie di lavoratori che hanno bisogno
di tutela legislativa: in particolare, quella dei lavoratori rurali e quella dei giovani
disoccupati. Qual è la posizione della Santa Sede su questo punto?
R.
– In questo momento di crisi economica, abbiamo dai due ai due ai due miliardi e mezzo
di persone, che hanno il loro piccolo salario del lavoro agricolo. Mi pare, specialmente
nei Paesi sviluppati dell’Unione Europea, che i giovani stentino a trovare lavoro.
Dal 2008 al 2009, c’è stato un aumento fino a 8 milioni e mezzo di giovani senza lavoro:
il più grosso aumento negli ultimi dieci anni. Quindi, c’è bisogno da parte degli
Stati e da parte dei datori di lavoro di trovare delle forme innovative che possano
dare la possibilità a questi giovani di entrare nel mercato del lavoro, in modo che
possano non solo contribuire alla ripresa economica, ma anche avere la possibilità
di essere delle persone costruttive nella società in cui vivono.
D.
– Lei ha concluso il suo intervento, come più volte fatto dal Papa negli ultimi mesi,
cioè ribadendo che la crisi economica attuale è "un’opportunità". In che senso?
R.
– E’ un’opportunità perché può facilitare la rimessa al centro di tutte le preoccupazioni
economiche della persona umana. Le priorità non sono di profitto, non sono i meccanismi
finanziari e le manovre, alle volte molto imprudenti, delle banche che ci hanno portati
a questa crisi, ma rimangono gli interessi e i diritti delle persone e delle loro
famiglie. L’attenzione a questi grandi numeri di persone, che sono più vulnerabili,
perché sono meno tutelate nella ricerca del loro lavoro, è una maniera per facilitare
questo processo.