Mondiali di calcio in Sudafrica: oggi le prime partite
Al via i Mondiali di calcio in Sudafrica. Nel pomeriggio la cerimonia inaugurale
allo stadio Soccer City di Johannesburg seguita dalla prima partita tra Sudafrica
e Messico. Circa 1500 figuranti hanno rappresentato con balli e canti le tradizioni
dell'Africa, continente organizzatore per la prima volta dei Mondiali. Hanno partecipato
numerose autorità tra le quali il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon
e il vicepresidente degli Stati Uniti Biden. Accanto a loro il presidente sudafricano
Zuma e molti capi di Stato africani. Non era presente invece l’ex presidente sudafricano
e simbolo della lotta all’Apartheid Nelson Mandela, colpito da un lutto familiare,
per la morte di una nipotina ieri in un incidente stradale. Nel suo servizio, Alessandro
De Carolis traccia un quadro di un evento per molti versi storico: (Inno dei
Mondiali)
Che cosa sono i mondiali di calcio? Per i
ragazzi di oggi, i Mondiali sono “il” Mondiale, un evento al singolare un po’ perché
la memoria anagrafica è “corta” – arriva a ricordare bene un paio delle ultime edizioni
– e un po’ perché è fuori forma: in parte saturata dalla marea montante di immagini
sull’evento alle porte e poi perché c’è youtube che ricorda per tutti. Per i ragazzi
di ieri, i Mondiali di calcio sono i funambolismi di Pelè, l’unico calciatore a vincerne
tre, o i “13 tocchi” di Maradona che firmò nel 1986 quello che un sondaggio ha definito
“il gol più bello del secolo”. I Mondiali sono da sempre una centrifuga di ricordi
di sport per chi ama il calcio e di travolgente passione collettiva, che arriva a
trasformare per un mese in tifoso chi non lo è negli altri 11.
Tuttavia,
il resto della cornice “mondiale”, per esempio il Paese che lo ospita, non suscita
normalmente grandi entusiasmi. Uno spruzzo di folklore e poco altro è quello che traspare
dai servizi di stampa e tv, forse perché finora l’edizione più esotica, quella del
2002 in Sud Corea e Giappone, è l’unica che ha spezzato il duopolio organizzativo
di un avvenimento che in 80 anni si è disputato fra Europa e Americhe. Eppure un Mondiale
di calcio in Africa, e in Sudafrica – Paese-specchio di molte contraddizioni del continente
– offre spunti per pensare ben oltre le sorti agonistiche delle 32 squadre che tra
poche ore cominceranno a sfidarsi sul rettangolo verde. Spunti che sintetizza così
Matteo Fagotto, giornalista freelance raggiunto telefonicamente a Cape Town:
“Colpisce
il fatto che ci sia molta differenza ancora non solo a livello economico ma anche
a livello di interazione fra le varie comunità. Ci sono poche possibilità, oggi, di
avere un rapporto che possa in futuro creare un Sudafrica realmente unito, quello
che non esiste in questo momento. Adesso, in Sudafrica, ci sono varie comunità che
vivono nello stesso Paese ma che sono accomunate da molto poco. E questo lo comprende
meglio se si pensa al fatto che l’apartheid non è stato solamente un sistema di leggi,
ma un qualcosa che è entrato nelle menti delle persone, nella cultura delle persone,
e quindi un sistema molto più difficile da smantellare di quello che sembri a prima
vista”.
Pelle scura e occhi spalancati neri e bianchi,
che sembrano tanti palloni di calcio come lo Jabulani, il pallone ufficiale dei Mondiali
2010 che in dialetto isi-Zulu significa “festeggiare”. E’ l’allegria che brilla negli
occhi dei ragazzini sudafricani e non solo, le cui foto da giorni affluiscono sui
siti Internet che si occupano dei Mondiali di calcio come simbolo di una festa attesa
da un’eternità. Sono loro, i più giovani, armati di vuvuzela, l'assordante trombetta
da stadio sudafricana, i veri esperti di un evento che grazie al web ha avvicinato
i ragazzi africani ai loro coetanei occidentali molto più dei loro genitori, come
spiega padre Jean Ilboudo, un gesuita del Burkina Faso, al microfono di Luca Collodi:
R.
- In ogni nazione nel Camerun nella Costa d’Avorio, nel Ciad ci sono molti giovani
che sono molto interessati al football, conoscono tutti i giocatori e seguono veramente
i campionati. Dunque è un momento forte per l’Africa.
D.
- Come Chiesa voi vi impegnate anche a promuovere lo sport?
R.
- Sì, in ogni scuola secondaria ha delle squadre perché vogliono veramente aiutare
anche la formazione umana quando un gruppo si mette insieme a giocare. C’è tutto uno
sviluppo della personalità del modo di tenere conto dell’altro. Dunque, nelle scuole
noi mettiamo l’accento sullo sport.
Che il Sudafrica
viva allora questa grande festa di sport. Senza dimenticare che chiusa la storia dei
primi Mondiali africani c’è la storia dell’Africa di sempre che deve andare avanti.
Matteo Fagotto:
“Questo Mondiale è un po’ il simbolo
del fatto che il mondo rende onore a questo Paese. Da questo punto di vista la gente
sudafricana è estremamente orgogliosa di questo. Ma pochi si illudono che il Mondiale
risolva i problemi del Sudafrica. Ci saranno delle ripercussioni positive che probabilmente
saranno quelle di immagine. Se il Sudafrica riuscirà a organizzare una bella competizione,
ciò potrà sicuramente rivelarsi un volano turistico per i prossimi anni. D’altra parte,
i punti negativi sono che il Sudafrica ha speso tanto per organizzare questi Mondiali
in un Paese in cui, comunque, molte comunità e molte township ancora hanno
pochi servizi o ce li hanno scadenti. Il problema è che il Sudafrica ha problemi sociali
più grandi rispetto ai Paesi che finora hanno ospitato la competizione. Quindi, questi
problemi sono un po’ cresciuti”.