Al via i Mondiali di calcio in Sudafrica tra festa, contraddizioni e voglia di riscatto
Sarà uno spettacolo di tre ore, a base di musica e sport, quello che stasera, in Sudafrica,
aprirà la 19.ma edizione dei Mondiali di calcio, i primi disputati nel continente
africano. Artisti africani ed internazionali – come Alicia Keys o Shakira, che canta
l’inno della manifestazione – si esibiranno allo Stadio Orlando di Soweto di Johannesburg.
Domani pomeriggio, alle 16.00, il calcio d’inizio con la partita inaugurale tra Sudafrica
e Messico. Nel suo servizio, Alessandro De Carolis traccia un quadro di un
evento per molti versi storico:
(Inno
dei Mondiali)
Che cosa sono i mondiali di calcio? Per i ragazzi
di oggi, i Mondiali sono “il” Mondiale, un evento al singolare un po’ perché la memoria
anagrafica è “corta” – arriva a ricordare bene un paio delle ultime edizioni – e un
po’ perché è fuori forma: in parte saturata dalla marea montante di immagini sull’evento
alle porte e poi perché c’è youtube che ricorda per tutti. Per i ragazzi di ieri,
i Mondiali di calcio sono i funambolismi di Pelè, l’unico calciatore a vincerne tre,
o i “13 tocchi” di Maradona che firmò nel 1986 quello che un sondaggio ha definito
“il gol più bello del secolo”. I Mondiali sono da sempre una centrifuga di ricordi
di sport per chi ama il calcio e di travolgente passione collettiva, che arriva a
trasformare per un mese in tifoso chi non lo è negli altri 11.
Tuttavia,
il resto della cornice “mondiale”, per esempio il Paese che lo ospita, non suscita
normalmente grandi entusiasmi. Uno spruzzo di folklore e poco altro è quello che traspare
dai servizi di stampa e tv, forse perché finora l’edizione più esotica, quella del
2002 in Sud Corea e Giappone, è l’unica che ha spezzato il duopolio organizzativo
di un avvenimento che in 80 anni si è disputato fra Europa e Americhe. Eppure un Mondiale
di calcio in Africa, e in Sudafrica – Paese-specchio di molte contraddizioni del continente
– offre spunti per pensare ben oltre le sorti agonistiche delle 32 squadre che tra
poche ore cominceranno a sfidarsi sul rettangolo verde. Spunti che sintetizza così
Matteo Fagotto, giornalista freelance raggiunto telefonicamente
a Cape Town:
“Colpisce il fatto che ci sia molta differenza
ancora non solo a livello economico ma anche a livello di interazione fra le varie
comunità. Ci sono poche possibilità, oggi, di avere un rapporto che possa in futuro
creare un Sudafrica realmente unito, quello che non esiste in questo momento. Adesso,
in Sudafrica, ci sono varie comunità che vivono nello stesso Paese ma che sono accomunate
da molto poco. E questo lo comprende meglio se si pensa al fatto che l’apartheid
non è stato solamente un sistema di leggi, ma un qualcosa che è entrato nelle menti
delle persone, nella cultura delle persone, e quindi un sistema molto più difficile
da smantellare di quello che sembri a prima vista”.
Pelle scura
e occhi spalancati neri e bianchi, che sembrano tanti palloni di calcio come lo Jabulani,
il pallone ufficiale dei Mondiali 2010 che in dialetto isi-Zulu significa “festeggiare”.
E’ l’allegria che brilla negli occhi dei ragazzini sudafricani e non solo, le cui
foto da giorni affluiscono sui siti Internet che si occupano dei Mondiali di calcio
come simbolo di una festa attesa da un’eternità. Sono loro, i più giovani, armati
di vuvuzela, l'assordante trombetta da stadio sudafricana, i veri esperti di
un evento che grazie al web ha avvicinato i ragazzi africani ai loro coetanei occidentali
molto più dei loro genitori, come spiega padre Jean Ilboudo, un gesuita del
Burkina Faso, al microfono di Luca Collodi:
R. -
In ogni nazione nel Camerun nella Costa d’Avorio, nel Ciad ci sono molti giovani che
sono molto interessati al football, conoscono tutti i giocatori e seguono veramente
i campionati. Dunque è un momento forte per l’Africa.
D.
- Come Chiesa voi vi impegnate anche a promuovere lo sport?
R.
- Sì, in ogni scuola secondaria ha delle squadre perché vogliono veramente aiutare
anche la formazione umana quando un gruppo si mette insieme a giocare. C’è tutto uno
sviluppo della personalità del modo di tenere conto dell’altro. Dunque, nelle scuole
noi mettiamo l’accento sullo sport.
Che il Sudafrica viva allora questa
grande festa di sport. Senza dimenticare che chiusa la storia dei primi Mondiali africani
c’è la storia dell’Africa di sempre che deve andare avanti. Matteo Fagotto:
“Questo
Mondiale è un po’ il simbolo del fatto che il mondo rende onore a questo Paese. Da
questo punto di vista la gente sudafricana è estremamente orgogliosa di questo. Ma
pochi si illudono che il Mondiale risolva i problemi del Sudafrica. Ci saranno delle
ripercussioni positive che probabilmente saranno quelle di immagine. Se il Sudafrica
riuscirà a organizzare una bella competizione, ciò potrà sicuramente rivelarsi un
volano turistico per i prossimi anni. D’altra parte, i punti negativi sono che il
Sudafrica ha speso tanto per organizzare questi Mondiali in un Paese in cui, comunque,
molte comunità e molte township ancora hanno pochi servizi o
ce li hanno scadenti. Il problema è che il Sudafrica ha problemi sociali più grandi
rispetto ai Paesi che finora hanno ospitato la competizione. Quindi, questi problemi
sono un po’ cresciuti”.