Sri Lanka: l'aiuto della Chiesa per i profughi della guerra civile
Anche se la Caritas-Sri Lanka è molto impegnata per aiutare le vittime della lunga
guerra civile, “non possiamo essere del tutto soddisfatti. Possiamo dare aiuti, ma
le necessità della gente sono tante. Non so come possiamo soddisfare tutte le loro
necessità e tutte le loro richieste. Per quello che abbiamo fatto per loro, io, come
Chiesa, sono contento, ma dico anche che le necessità sono tante, che c’è tanto da
fare”. Padre George Sigamony, direttore della Caritas-Sri Lanka, racconta all'agenzia
AsiaNews quanto la Chiesa cattolica ha fatto per le vittime della guerra e i profughi,
e parla del tantissimo che ancora occorre fare. Padre Sigamony ha seguito per anni
la difficile situazione dei campi profughi. Dice che “sono felice di vedere che la
popolazione ora non è più confinata in campi profughi, ma è libera di muoversi, di
tornare ai loro villaggi, ritrovare parenti e riunificate le famiglie. Ma questa gente
ha ancora bisogno di tanto aiuto dello Stato e degli enti, per potersi reinsediare
a casa. Invece viene loro dato poco sostegno. Nell’aprile 2009 – ricorda padre Sigamony
– abbiamo iniziato a prenderci cura dei profughi nei campi di Manik Farm, Trincomalee,
Jaffna: circa 97mila profughi. Abbiamo dato loro cibo e anche assistenza psicologica,
istruzione. Quando sono tornati ai loro villaggi, abbiamo dato loro razioni di cibo
per le necessità essenziali”. “Quando abbiamo chiesto cosa serviva loro, ci hanno
detto che mancavano di ripari. Serviva loro la luce, in quanto là non c’è elettricità.
Così abbiamo fornito loro lampade solari, soprattutto alle vedove e alle donne che
devono fare da capo-famiglia. La nostra maggiore priorità è sostenere vedove e donne
sole, la maggior parte di loro sono giovani tra 18 e 32 anni con 2 o 3 bambini”. “Vogliamo
anche favorire l’istruzione dei bambini. Pure quando erano nei campi profughi, li
abbiamo aiutati nell’istruzione”. La Chiesa non ha trascurato i bisogni non materiali
dei profughi e il sacerdote esprime il suo ringraziamento “ai vescovi, soprattutto
a mons. Joseph Rayappu e a mons. Thomas Savundaranayagam. Dall’inizio, costoro non
hanno mai trascurato le necessità della gente, sono stati con queste persone. Nei
campi sono stati sempre presenti sacerdoti, per le necessità spirituali”. “E quando
la gente ha iniziato a reinsediarsi, con loro ci sono stati i sacerdoti”. “La gente
ha capito che la chiesa non li ha mai lasciati soli, che la chiesa è in viaggio con
noi”. (R.P.)