Trasferimento dei prigionieri politici a Cuba: intervista con l'ambasciatore dell'Avana
presso la Santa Sede
In queste ore a Cuba, dopo la conferma del governo all’arcivescovo dell’Avana, cardinale
Jaime Ortega, sono in corso i primi trasferimenti di prigionieri politici in carceri
più vicine ai loro luoghi d’origine. La decisione governativa fa seguito ai colloqui
tra la Chiesa cubana e il presidente Raúl Castro lo scorso 19 maggio, in cui insieme
ad altri temi è stata affrontata proprio la questione dei prigionieri di coscienza.
I vescovi cubani, che oggi hanno ricevuto il sostegno e la solidarietà dei vescovi
statunitensi, da molto tempo si stanno adoperando per trovare una soluzione giusta,
rapida e umanitaria al problema. Sull’attuale momento dei rapporti tra lo Stato cubano
con la Chiesa nell’isola caraibica e con il Vaticano, Luis Badilla ha parlato
con il dr. Eduardo Delgado Bermúdez, ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede:
D.
- Quale significato Lei attribuisce al fatto che in queste settimane ricorrono i 75
anni di rapporti diplomatici ininterrotti tra la Santa Sede e Cuba?
R.
- Realmente y para nosotros tiene un grande significado …
Per
noi questa ricorrenza ha realmente un grande significato. Sono relazioni trascorse
con grande normalità. Nel momento in cui furono stabilite, a Cuba si attraversava
un momento politico molto convulso: erano i tempi della prima dittatura di Fulgencio
Batista. Anni dopo arrivò la rivoluzione cubana, nel 1959, e ciò significò un grande
cambiamento nell’ambito economico, politico, sociale … Lungo questi anni, e direi
specialmente dopo il trionfo della rivoluzione, questi rapporti hanno avuto dei grandi
contenuti. Penso che siano stati rapporti di grande utilità e profitto sia per il
popolo cubano sia per la Chiesa cattolica cubana e la Santa Sede. Ci sono stati momenti
di comunicazione, di coincidenza di vedute in questioni importanti, significative.
Ci sono stati momenti rilevanti come la visita di Sua Santità Giovanni Paolo II a
Cuba nel 1998 e la visita dell’allora nostro Presidente e leader storico della rivoluzione,
Fidel Castro, a Roma. Sono stati dunque i momenti più significativi per così dire,
ma certamente non sono gli unici. Ci sono stati anche altri momenti importanti lungo
questi anni.
D. - In questi anni si
sono avvicendati diversi Pontefici e molti hanno avuto una particolare sollecitudine
per Cuba. Voi vi sentiti più legati ad un Papa in modo speciale?
R.
- Yo estoy, en este momento, estudiando el pontificado de Giovanni XXIII...
Proprio
in questo momento stiamo approfondendo il Pontificato di Giovanni XXIII. Io lo conosco
un po’ meno. Ad ogni modo, non farei distinzioni tra un Pontificato e un altro e privilegerei
il rapporto istituzionale tra la Santa Sede e lo Stato cubano. Nel periodo successivo
al trionfo della rivoluzione, non oso fare distinzioni, anche se mi piace mettere
l’accento sul fatto che nel pontificato di Giovanni Paolo II si registrarono questi
due fatti significativi citati poc’anzi: la visita del nostro Presidente e i colloqui
tenuti in Vaticano e poi la visita di Sua Santità a Cuba. Poi, per quanto riguarda
Benedetto XVI, noi lo apprezziamo molto, in particolare la sua enciclica Caritas in
veritate, nella quale troviamo ottime di analisi molto vicine a ciò che pensa Cuba
riguardo a molti problemi mondiali, internazionali. Ci sono molte questioni di ordine
economico internazionale, riguardanti il ruolo dell’etica nelle società odierne, i
valori umani, il bisogno di solidarietà, il bisogno di carità come si legge nel titolo
della Lettera enciclica - La carità nella verità- che sono vicine alle posizioni di
Cuba. Rispetto a Giovanni XXIII è vero che ebbe molto interesse per le vicende cubane,
in particolare per la vicenda nota come “la crisi d’ottobre”, nel 1962.
D.
- Come valutate la posizione della Santa Sede sul “blocco” economico contro Cuba che
in Europa chiamano “embargo”?
R. - Bien,
yo no me entraducho ad interpretar la posición de la Santa Sede…
Bene.
Certamente non è il caso che io mi proponga come interprete della posizione della
Santa Sede. Nella persona del Papa - prima Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI -
la Sede Apostolica è stata chiara nell’affermare che rifiuta le misure che hanno come
scopo il blocco e l’isolamento di Cuba, in particolare nel campo economico, appellandosi
e incoraggiando invece un dialogo con il mio Paese, favorendo così la presenza di
Cuba nella comunità internazionale, libera da qualsiasi limitazione di questa natura.
Blocco o embargo? Dal nostro punto di vista in realtà si tratta di blocco. Si parla
di embargo quando si tratta di un’operazione commerciale oppure di un documento che
non deve essere pubblicato prima di un certo momento. Invece, quando a un Paese viene
impedito di importare, esportare, fare uso della sua moneta, si confiscano i suoi
prodotti nei mercati esteri, si vietano i viaggi dei suoi cittadini in altri Paesi,
non si applica un embargo.
D. - Recentemente
l’arcivescovo dell’Avana, cardinale Jaime Ortega, ha parlato di questa questione e
si è appellato alle parti perché, a prescindere da condizioni precedenti che non si
giustificano, si possa andare avanti aprendo un dialogo sincero …
R.
- Yo he leído la entrevista al cardenal Ortega...
Sì, ho letto quest’intervista
alla quale Lei fa riferimento. Mi sono sembrate parole molte sensate. Lei sa bene
che nel corso della campagna elettorale negli Stati Uniti sono nate delle aspettative.
Il Presidente Obama, senza promettere la fine del blocco, ha annunciato alcuni cambiamenti
politici, prospettando più dialogo e meno tensioni nei rapporti con Cuba. Il Presidente
Raúl Castro ha dichiarato che Cuba è disponibile a discutere con un’agenda aperta,
su qualsiasi tema, ma a partire innanzitutto dal rispetto dell’indipendenza, della
sovranità e dell’autodeterminazione di Cuba e poi, in secondo luogo, chiedendo che
non ci siano precondizioni. Su questa base, si può discutere su qualsiasi cosa.
D.
- Passando ora alle notizie degli ultimi giorni - ovvero, i colloqui del cardinale
Jaime Ortega e del presidente dell’Episcopato, mons. Dionisio García, con il Presidente
Raúl Castro a proposito dei prigionieri politici o di coscienza, degli scioperi della
fame, cosa può aggiungere o come può commentare?
R.
- Usted mencionó un tema especifico, que es el tema de los presos…
Lei
ha fatto riferimento al tema specifico dei prigionieri: noi, a Cuba, riteniamo che
non ci siano prigionieri di coscienza o prigionieri politici. I detenuti prima e dopo
il 2003 sono persone che hanno violato le leggi, e non per ragioni politiche o di
coscienza, sono persone che hanno agito essendo coordinate, orientate e in molti casi
finanziate da una potenza straniera. Si tratta di comportamenti che in tutti i Paesi
sono codificati come un reato, anche negli Stati Uniti. Molti di questi prigionieri
sono responsabili di reati comuni e questi detenuti ricevono un trattamento adeguato.
Noi ci sentiamo orgogliosi dal fatto che a Cuba non esistono i “desaparecidos”, gli
scomparsi. Quando si arresta un individuo si spicca un ordine di arresto, un nome
e un cognome, le forze dell’ordine sono in divisa quindi identificabili, i luoghi
di reclusione sono riconosciuti ufficialmente e poi il tutto termina con un processo.
Da noi non si maltrattano i prigionieri, anche se si possano registrare casi singoli,
la responsabilità ricade su una determinata persona. Il caso dei prigionieri a Cuba
non dovrebbe essere una priorità dell’agenda dei diritti umani, giacché vi è stata
collaborazione con l’Onu per migliorare le cose che si ritenevano necessarie. Nei
colloqui del Presidente con il cardinale Ortega e mons. Dionisio García sì è parlato
dei prigionieri come una delle questioni nazionali e internazionali. Si faranno comunque
dei passi avanti per cercare un miglioramento, ciò che è più umano.