2010-06-03 14:01:17

Trasferimento dei prigionieri politici a Cuba: intervista con l'ambasciatore dell'Avana presso la Santa Sede


In queste ore a Cuba, dopo la conferma del governo all’arcivescovo dell’Avana, cardinale Jaime Ortega, sono in corso i primi trasferimenti di prigionieri politici in carceri più vicine ai loro luoghi d’origine. La decisione governativa fa seguito ai colloqui tra la Chiesa cubana e il presidente Raúl Castro lo scorso 19 maggio, in cui insieme ad altri temi è stata affrontata proprio la questione dei prigionieri di coscienza. I vescovi cubani, che oggi hanno ricevuto il sostegno e la solidarietà dei vescovi statunitensi, da molto tempo si stanno adoperando per trovare una soluzione giusta, rapida e umanitaria al problema. Sull’attuale momento dei rapporti tra lo Stato cubano con la Chiesa nell’isola caraibica e con il Vaticano, Luis Badilla ha parlato con il dr. Eduardo Delgado Bermúdez, ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede:RealAudioMP3

 

D. - Quale significato Lei attribuisce al fatto che in queste settimane ricorrono i 75 anni di rapporti diplomatici ininterrotti tra la Santa Sede e Cuba?

 

 

R. - Realmente y para nosotros tiene un grande significado …

Per noi questa ricorrenza ha realmente un grande significato. Sono relazioni trascorse con grande normalità. Nel momento in cui furono stabilite, a Cuba si attraversava un momento politico molto convulso: erano i tempi della prima dittatura di Fulgencio Batista. Anni dopo arrivò la rivoluzione cubana, nel 1959, e ciò significò un grande cambiamento nell’ambito economico, politico, sociale … Lungo questi anni, e direi specialmente dopo il trionfo della rivoluzione, questi rapporti hanno avuto dei grandi contenuti. Penso che siano stati rapporti di grande utilità e profitto sia per il popolo cubano sia per la Chiesa cattolica cubana e la Santa Sede. Ci sono stati momenti di comunicazione, di coincidenza di vedute in questioni importanti, significative. Ci sono stati momenti rilevanti come la visita di Sua Santità Giovanni Paolo II a Cuba nel 1998 e la visita dell’allora nostro Presidente e leader storico della rivoluzione, Fidel Castro, a Roma. Sono stati dunque i momenti più significativi per così dire, ma certamente non sono gli unici. Ci sono stati anche altri momenti importanti lungo questi anni.

 

 

D. - In questi anni si sono avvicendati diversi Pontefici e molti hanno avuto una particolare sollecitudine per Cuba. Voi vi sentiti più legati ad un Papa in modo speciale?

 

 

R. - Yo estoy, en este momento, estudiando el pontificado de Giovanni XXIII...

Proprio in questo momento stiamo approfondendo il Pontificato di Giovanni XXIII. Io lo conosco un po’ meno. Ad ogni modo, non farei distinzioni tra un Pontificato e un altro e privilegerei il rapporto istituzionale tra la Santa Sede e lo Stato cubano. Nel periodo successivo al trionfo della rivoluzione, non oso fare distinzioni, anche se mi piace mettere l’accento sul fatto che nel pontificato di Giovanni Paolo II si registrarono questi due fatti significativi citati poc’anzi: la visita del nostro Presidente e i colloqui tenuti in Vaticano e poi la visita di Sua Santità a Cuba. Poi, per quanto riguarda Benedetto XVI, noi lo apprezziamo molto, in particolare la sua enciclica Caritas in veritate, nella quale troviamo ottime di analisi molto vicine a ciò che pensa Cuba riguardo a molti problemi mondiali, internazionali. Ci sono molte questioni di ordine economico internazionale, riguardanti il ruolo dell’etica nelle società odierne, i valori umani, il bisogno di solidarietà, il bisogno di carità come si legge nel titolo della Lettera enciclica - La carità nella verità- che sono vicine alle posizioni di Cuba. Rispetto a Giovanni XXIII è vero che ebbe molto interesse per le vicende cubane, in particolare per la vicenda nota come “la crisi d’ottobre”, nel 1962.

 

 

D. - Come valutate la posizione della Santa Sede sul “blocco” economico contro Cuba che in Europa chiamano “embargo”?

 

 

R. - Bien, yo no me entraducho ad interpretar la posición de la Santa Sede…

Bene. Certamente non è il caso che io mi proponga come interprete della posizione della Santa Sede. Nella persona del Papa - prima Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI - la Sede Apostolica è stata chiara nell’affermare che rifiuta le misure che hanno come scopo il blocco e l’isolamento di Cuba, in particolare nel campo economico, appellandosi e incoraggiando invece un dialogo con il mio Paese, favorendo così la presenza di Cuba nella comunità internazionale, libera da qualsiasi limitazione di questa natura. Blocco o embargo? Dal nostro punto di vista in realtà si tratta di blocco. Si parla di embargo quando si tratta di un’operazione commerciale oppure di un documento che non deve essere pubblicato prima di un certo momento. Invece, quando a un Paese viene impedito di importare, esportare, fare uso della sua moneta, si confiscano i suoi prodotti nei mercati esteri, si vietano i viaggi dei suoi cittadini in altri Paesi, non si applica un embargo.

 

 

D. - Recentemente l’arcivescovo dell’Avana, cardinale Jaime Ortega, ha parlato di questa questione e si è appellato alle parti perché, a prescindere da condizioni precedenti che non si giustificano, si possa andare avanti aprendo un dialogo sincero …

 

 

R. - Yo he leído la entrevista al cardenal Ortega...

Sì, ho letto quest’intervista alla quale Lei fa riferimento. Mi sono sembrate parole molte sensate. Lei sa bene che nel corso della campagna elettorale negli Stati Uniti sono nate delle aspettative. Il Presidente Obama, senza promettere la fine del blocco, ha annunciato alcuni cambiamenti politici, prospettando più dialogo e meno tensioni nei rapporti con Cuba. Il Presidente Raúl Castro ha dichiarato che Cuba è disponibile a discutere con un’agenda aperta, su qualsiasi tema, ma a partire innanzitutto dal rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’autodeterminazione di Cuba e poi, in secondo luogo, chiedendo che non ci siano precondizioni. Su questa base, si può discutere su qualsiasi cosa.

 

 

D. - Passando ora alle notizie degli ultimi giorni - ovvero, i colloqui del cardinale Jaime Ortega e del presidente dell’Episcopato, mons. Dionisio García, con il Presidente Raúl Castro a proposito dei prigionieri politici o di coscienza, degli scioperi della fame, cosa può aggiungere o come può commentare?

 

 

R. - Usted mencionó un tema especifico, que es el tema de los presos…

Lei ha fatto riferimento al tema specifico dei prigionieri: noi, a Cuba, riteniamo che non ci siano prigionieri di coscienza o prigionieri politici. I detenuti prima e dopo il 2003 sono persone che hanno violato le leggi, e non per ragioni politiche o di coscienza, sono persone che hanno agito essendo coordinate, orientate e in molti casi finanziate da una potenza straniera. Si tratta di comportamenti che in tutti i Paesi sono codificati come un reato, anche negli Stati Uniti. Molti di questi prigionieri sono responsabili di reati comuni e questi detenuti ricevono un trattamento adeguato. Noi ci sentiamo orgogliosi dal fatto che a Cuba non esistono i “desaparecidos”, gli scomparsi. Quando si arresta un individuo si spicca un ordine di arresto, un nome e un cognome, le forze dell’ordine sono in divisa quindi identificabili, i luoghi di reclusione sono riconosciuti ufficialmente e poi il tutto termina con un processo. Da noi non si maltrattano i prigionieri, anche se si possano registrare casi singoli, la responsabilità ricade su una determinata persona. Il caso dei prigionieri a Cuba non dovrebbe essere una priorità dell’agenda dei diritti umani, giacché vi è stata collaborazione con l’Onu per migliorare le cose che si ritenevano necessarie. Nei colloqui del Presidente con il cardinale Ortega e mons. Dionisio García sì è parlato dei prigionieri come una delle questioni nazionali e internazionali. Si faranno comunque dei passi avanti per cercare un miglioramento, ciò che è più umano.








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