Elezioni in Colombia, si cerca il successore di Alvaro Uribe
Colombia oggi al voto per le presidenziali che decreteranno il successore di Alvaro
Uribe, al potere dal 2002. I sondaggi vedono favoriti al primo turno Juan Manuel Santos,
ex ministro della Difesa e delfino di Uribe, e l'ex sindaco di Bogotà, il verde Antanas
Mockus, sorpresa della campagna elettorale. L’eventuale ballottaggio è in programma
per il 20 giugno. Le autorità hanno rafforzato le misure di sicurezza attorno ai candidati,
per paura di attacchi da parte dei guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie
della Colombia. Già nei giorni scorsi, in un agguato delle Farc sono morti nove militari.
Proprio la lotta alla guerriglia è stato uno dei temi dominanti della campagna elettorale.
Stefano Femminis, direttore del mensile internazionale dei Gesuiti “Popoli”,
intervistato da Giada Aquilino:
R. – Questo
è il problema-chiave della Colombia da più di 50 anni. E’ un Paese che di fatto vive
un’interminabile guerra civile con una formazione guerrigliera che non accetta il
potere governativo e che, di fatto, ha provocato migliaia e migliaia di morti sia
la guerriglia sia i gruppi paramilitari che vi si oppongono e in alcuni casi, purtroppo,
anche lo stesso esercito si è macchiato di esecuzioni, violazioni dei diritti umani
piuttosto gravi. Quindi, è un Paese assolutamente non pacificato nonostante gli otto
anni di Uribe, che aveva messo al centro della sua campagna elettorale, sin dagli
inizi, la sconfitta della guerriglia. E’ vero che Uribe ha certamente ridotto il potere
e la minaccia delle Farc, ma le Farc ancora ci sono e possono contare su ottomila
combattenti. Il Paese, quindi, non è assolutamente tranquillo: negli ultimi tre anni,
sono stati 38 mila i colombiani desaparecidos, coloro che, a causa delle violenze
dei gruppi armati ed anche della repressione delle forze di sicurezza, sono stati
uccisi e di fatto scomparsi.
D. – Da non dimenticare
che Ingrid Betancourt e Clara Rojas furono rapite proprio in campagna elettorale…
R.
– Sì. La Betancourt stava addirittura per annunciare la sua candidatura, ma in realtà
non aveva possibilità di vittoria. Certamente, poi, il suo rapimento colpì molto anche
per questi motivi. L’eredità della Betancourt è stata in parte raccolta dal candidato
del Partito verde, Antanas Mockus, se non altro per il suo essere un po’ fuori dei
circuiti tradizionali della politica. E’ vero che Mockus è stato sindaco di Bogotá
per due mandati, quindi non è un neofita, però non è certamente nella linea del partito
governativo e nemmeno fa parte di quell’oligarchia che, prima dell’avvento di Uribe,
aveva governato in Colombia per diversi decenni.
D.
– E chi è l’altro candidato, quello che poi è dato dai sondaggi come favorito, l’ex
ministro della Difesa, Juan Manuel Santos?
R. – Ministro
della Difesa nel governo uscente, rientra appunto in quella classe politica più tradizionale,
che domina la Colombia da diversi anni. Tra l’altro, la sua famiglia è stata anche
proprietaria, fino a poco tempo fa, del il principale quotidiano nazionale, “El Tiempo”.
Si propone di proseguire la linea politica di Uribe, quindi punta tutto sulla continuità
e sui successi che Uribe ha ottenuto in termini di un indebolimento delle Farc. Certamente
,è un uomo di minore carisma rispetto all’attuale presidente e quindi questo fatto
è stato pagato, almeno secondo quello che dicono i sondaggi, perché Uribe ha un gradimento
superiore al 50 per cento tra i colombiani, mentre invece Santos viene accreditato
di un 36-38 per cento. Quasi sicuramente, quindi, non vincerà al primo turno. E’ da
vedere cosa succederà in un eventuale ballottaggio.
D.
– Che Paese è oggi la Colombia, anche a livello di equilibri latinoamericani?
R.
– Intanto, è un solido amico degli Stati Uniti, con la presidenza Bush ma anche adesso
con Obama. Certamente è un Paese-chiave rispetto al confronto con il Venezuela di
Chavez e infatti ci sono stati parecchi problemi tra i due Peasi che confinano. Allo
stesso tempo, la guerra civile ha giustificato, diciamo così, tutte quelle violazioni
dei diritti umani. Sappiamo anche che ci sono difensori dei diritti umani, tra cui
diversi Gesuiti che non si stancano di denunciare queste violazioni anche da parte
del governo e dell’esercito. Direi che forse queste elezioni potrebbero segnare un
po’ una svolta, nel senso di una Colombia che finalmente potrebbe guardare ad un futuro
e ad un presente non unicamente attraverso la chiave di lettura della guerriglia.