La Croce delle Giornate Mondiali della Gioventù nel carcere di Rebibbia
L'incessante pellegrinaggio della Croce delle Giornate Mondiali della Gioventù procede
senza sosta. Questa mattina ha fatto tappa nella casa di reclusione di Rebibbia a
Roma. Il servizio di Davide Dionisi.
I giovani
del Centro Internazionale San Lorenzo, coordinati dal cappellano del penitenziario,
padre Arcangelo Masocco, dal decano don Luigi Barbini e della religiosa canossiana
suor Rita Del Grosso, si sono ritrovati nel carcere romano per portare la loro testimonianza
ai detenuti e per far conoscere la "potenza della Croce", quella Croce che nel 1984
Giovanni Paolo II affidò proprio a loro. "Noi adoriamo chi sulla Croce ha sacrificato
la vita per tutti noi. E lo ha fatto quando eravamo peccatori e quando nessuno ci
avrebbe neanche rivolto la parola", ha detto ai volontari e ai detenuti che hanno
preso parte alla processione e alla celebrazione mons. Nicola Filippi, delegato episcopale
dei decani di Roma, intervenuto in rappresentanza del cardinale Vallini. "Giovanni
Paolo II volle che la Croce girasse il mondo, perché l'amore di Dio non venisse confinato
in un tempo e in un luogo ma fosse ovunque e per sempre. Ha voluto che fosse pellegrina
perché nessuno venisse escluso dall'amore di Dio", ha aggiunto mons. Filippi. E' stato
poi proiettato il video "Potenza della Croce", realizzato in collaborazione con l'agenzia
cattolica H2Onews e la Scuola di Evangelizzazione della Comunità dell'Emmanuele. I
detenuti hanno avuto la possibilità di confessarsi e di affidare le proprie intenzioni
ai piedi della Croce. "Ho colto immediatamente l'importanza di questo avvenimento
e ringrazio i giovani volontari che lo hanno fortemente voluto", ha sottolineato Stefano
Ricca, direttore della Casa di Reclusione. "Credere è un privilegio e lo è ancora
di più in un luogo come questo" ha aggiunto. Rivolgendosi ai detenuti il direttore
ha detto: "La Croce è un segno di sofferenza ma è anche segno di pace e di Risurrezione.
Sono convinto che per voi possa significare rinascita e recupero, per questo vi esorto
a diventare messaggeri di questa pace anche tra i vostri compagni". Attualmente nel
carcere romano sono rinchiuse circa 300 persone, per lo più provenienti dalle zone
del sud d'Italia. "Con loro abbiamo instaurato un rapporto familiare. Hanno molta
fiducia nel cappellano e per questo cerchiamo di diventare per loro un punto di riferimento.
Quel riferimento che, purtroppo, viene a mancare una volta usciti da qui. Il dramma
per loro comincia paradossalmente dopo la detenzione a causa di carenza di strutture
ricettive in grado di assisterli e di aiutarli a reinserirsi in società" ha spiegato
il cappellano di Rebibbia, padre Arcangelo Masocco. Ma sull'importanza di questo evento
ascoltiamo mons. Nicola Filippi: R.
– L’importanza è nella Croce stessa, che per ogni uomo è fonte di speranza perché
ci ricorda l’amore fedele di Dio che si apre ad ogni uomo. Un amore che, se accolto,
può realmente cambiare la vita di ciascuno di noi, perché va ad agire sul nostro cuore
ed anche sulla nostra volontà. D. – Qual è stata la risposta dei detenuti,
dei ragazzi che vivono a Rebibbia, di fronte a quest’iniziativa della Chiesa? R.
– I ragazzi hanno reagito bene, come reagiscono sempre nel momento in cui la Chiesa
offre loro una parola di speranza, di conforto, una parola di vicinanza e di solidarietà,
proprio perché tante volte anche il carcere è luogo di una profonda solitudine, in
cui si pensa al passato, si pensa agli affetti lontani. Avere qualcuno - in particolare
il Signore ma anche i tanti volontari, i tanti sacerdoti che manifestano una vicinanza,
un amore più grande - che li accoglie per quello che sono, senza chiedere nulla in
cambio, chiaramente fa sorgere il sole nel cuore. Quel sole che invece tante volte
è oscurato. D. – Abbiamo visto anche la testimonianza di tanti
giovani volontari che lavorano ed operano all’interno del carcere. Quanto può essere
importante la loro testimonianza per i ragazzi detenuti, i loro coetanei o anche per
i più grandi che sono qui a Rebibbia? R. – La testimonianza
è fondamentale perché li aiuta a comprendere che nella vita si può sbagliare ma si
possono compiere anche grandi cose. E’ fondamentale perché li aiuta a capire che forse
la gioia più grande, per un uomo, è nel dono che si fa agli altri, così, nella semplicità,
nella fraternità e nell’incontro che avviene lì dove Dio ci ha posto. Vorrei dire
che è importante anche la testimonianza che i detenuti danno ai giovani. Il carcere
è un luogo che aiuta a ripensare a ciò che realmente è essenziale nella vita. Al
direttore della Casa di Reclusione, Stefano Ricca, abbiamo chiesto quanto siano
importanti eventi come questo in una casa circondariale: R.
– Credo che tutti i momenti d’incontro, i momenti di collegamento fra la struttura
penitenziaria – quindi i detenuti, le persone che vivono questa situazione di difficoltà
– e il mondo esterno in quanto tale, siano tutti momenti importanti. La giornata di
oggi, poi, ha un valore ulteriore: un significato di fratellanza, di pace, di amore
fra le persone. Credo che la testimonianza della Croce della Giornata Mondiale della
Gioventù rappresenti proprio questo. Penso quindi che questo sia un momento davvero
molto importante per la vita dei detenuti e direi anche che lo è per la vita dell’Istituto. D.
– “Credere è un privilegio”: lo ha detto lei nel corso del suo intervento davanti
ai detenuti. Lo è anche in un luogo come questo? R. – Probabilmente
in un luogo come questo lo è ancora di più, perché le persone detenute hanno sicuramente
una necessità di poter sperare in un domani che li veda reintegrati nella società
ma che li veda recuperati proprio come persone. Allora penso che la fede ed il credere
possano essere veramente un grande sostegno per questo tipo di difficoltà.