Trent'anni fa l'assassinio del giornalista cattolico Walter Tobagi, un uomo col coraggio
della verità
Un uomo con "il coraggio della verità" del quale non bisogna "perdere la memoria",
al pari di tutti coloro "che sono stati esemplari nel loro impegno sociale e civile".
Sono alcuni dei pensieri con i quali il cardinale Carlo Maria Martini ricorda oggi,
in un articolo, la figura di Walter Tobagi, assassinato 30 anni fa a Milano per mano
dei terroristi rossi. Tobagi fu un cattolico "animato dalla responsabilità di lavorare
per una società meno lacerata dalla violenza", afferma il giornalista Giuseppe
Baiocchi, che a Tobagi fu legato da una sincera amicizia, dalla comune partecipazione
alle lezioni di Giorgio Rumi alla Statale di Milano e dagli anni trascorsi insieme
nella redazione del Corriere della Sera. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. - Walter
Tobagi era uno studioso, uno storico, un giornalista impegnato nel sindacato, nella
società, ma soprattutto era anche un credente, perché era questo il fondamento, la
roccia sulla quale poi costruì il suo impegno civile e professionale in anni terribili,
difficili, in cui anche la fede sembrava espulsa dal discorso pubblico.
D.
– Un uomo che comprese la responsabilità sociale associata ai comportamenti individuali...
R.
– C’era sempre in lui questa straordinaria capacità di andare al fondo delle cose
e di non essere mai soddisfatto dell’apparenza iniziale, ma con il bisogno di scavare.
Scavare vuol dire poi raccontare la realtà tutta così com’è, anche quando magari non
è come ce la si aspetta.
D. – Ed è una lezione appresa
oggi?
R. – Non lo so. Certo è che il giornalismo
purtroppo sembra tornato ad essere quello militante. Da una parte e dall’altra sembra
che bisogna per forza mettersi l’elmetto e andare in guerra, mentre invece per gli
spiriti liberi c’è un disagio profondissimo.
D. –
Proprio quell’andare al fondo nelle cose, cui faceva riferimento, il desiderio di
osservare e conoscere non conobbe ostacoli e fu scomodo e impopolare soprattutto per
chi poi decise di ucciderlo. Tobagi sapeva di andare incontro alla morte?
R.
– Da tempo sapeva di essere esposto, però coltivava fino in fondo due elementi cristiani:
una speranza testarda di poter cambiare in meglio la società e un abbandono fiducioso
al mistero della Provvidenza. Anche a me e agli amici più cari diceva: “Io non posso
sottrarmi alle responsabilità alle quali il mio lavoro, il mio impegno civile, professionale
e sindacale mi hanno portato”.
D. – Impopolare anche
perché cattolico. Un cattolico che non esibì mai la fede, ma neppure la nascose, che
sempre seppe di essere un cristiano chiamato a fare il giornalista. Su 300 giornalisti
del Corriere eravate in sette credenti dichiarati ...
R.
– Adesso mi auguro che ce ne sia qualcuno di più. Era un semplice fedele, che era
disponibile anche alla vita della parrocchia, coltivava molto la lettura della Parola
di Dio. La fede gli dava, io credo, la tranquillità interiore, la libertà di andare
avanti, di fare delle scelte certamente scomode, però innovative. Era un uomo rivestito
di un mite coraggio. Fu sempre colpito dall'invito di Gesù: Gesù non fa programmi,
non lancia messaggi, risponde una cosa sola a chi gli chiede: “Che cosa fai? Che cosa
hai in mente?”. Lui dice: “Venite e vedete”. E andare a vedere, magari anche con le
astuzie la professionalità del cronista, fa parte proprio del mestiere.