2010-05-27 14:53:58

Rapporto Amnesty: tutti i Paesi riconoscano la Corte penale internazionale


L’appello ai Paesi che ancora non hanno riconosciuto la Corte penale internazionale è la chiave del Rapporto annuale 2010 di Amnesty International, che sottolinea quello che definisce “il bisogno di giustizia globale”. Il volume, presentato stamane, offre anche quest’anno una panoramica sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Servizio di Francesca Sabatinelli:RealAudioMP3

Per molte persone nel mondo risulta ancora impossibile vedere i risultati di una giustizia effettiva, nonché l’accertamento delle responsabilità per le violazioni dei diritti umani. Amnesty International denuncia come repressione, violenza, discriminazione, giochi di potere e inazione politica continuino a tormentare le vite di molti. Tra i casi citati, Arabia Saudita, Siria, Tunisia, tuttora intolleranti nei confronti delle critiche. La repressione in Iran, aumentata all’indomani delle proteste del popolo del dopo elezioni, quella attuata dalla Birmania contro il dissenso politico, e poi le pressioni della Cina su chiunque sfidi l’autorità. Purtroppo, spiega Christine Weise, presidente di Amnesty Italia, sono ancora troppi i Paesi che cercano di bloccare il progresso verso una vera e propria giustizia internazionale. Basti pensare che 81 Paesi ancora non hanno ratificato lo statuto della Corte penale internazionale:

“I primi Paesi del G20, - Stati Uniti, Cina e Russia – si rifiutano di aderire allo statuto della Corte penale internazionale ed altri Paesi del G20 come India, Indonesia, Arabia Saudita e Turchia non ne fanno ancora parte”.
 
Nel Rapporto di quest’anno però non mancano anche i progressi. Il 2009, spiega Amnesty, è stato anche un anno storico per la giustizia internazionale, in cui sono stati fatti passi avanti significativi, chiamando a rispondere del loro operato i responsabili delle violazioni dei diritti umani:
 
“Pensiamo solo al mandato di arresto spiccato nei confronti del presidente sudanese Al Bashir. E’ la prima volta che la Corte penale internazionale emette un mandato di cattura nei confronti di un presidente in carica. Un altro sviluppo che possiamo definire positivo riguarda quei 40 Paesi che hanno già adottato, nella loro legislazione interna, delle modifiche che permettono l’incriminazione per reati commessi contro il diritto internazionale. Anche questo, quindi, è un lento progresso che va sicuramente nella direzione giusta, però i potenti di questo mondo lo stanno chiaramente ostacolando e fermando, mentre noi, invece, vorremmo che i Paesi – soprattutto quelli del G20 che rivendicano una leadership a livello mondiale – andassero avanti dando il buon esempio a tutti gli altri”.
 
E’ importante ribadire, conclude la Weise, che nessun Paese al mondo può mettersi al di sopra della legge:
 
“I Paesi devono rendere conto di quello che fanno e devono anche permettere alle persone di accedere alla giustizia per rivendicare i propri diritti, anche i diritti economici, sociali e culturali”.







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