Rapporto Amnesty: tutti i Paesi riconoscano la Corte penale internazionale
L’appello ai Paesi che ancora non hanno riconosciuto la Corte penale internazionale
è la chiave del Rapporto annuale 2010 di Amnesty International, che sottolinea quello
che definisce “il bisogno di giustizia globale”. Il volume, presentato stamane, offre
anche quest’anno una panoramica sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Servizio
di Francesca Sabatinelli:
Per molte
persone nel mondo risulta ancora impossibile vedere i risultati di una giustizia effettiva,
nonché l’accertamento delle responsabilità per le violazioni dei diritti umani. Amnesty
International denuncia come repressione, violenza, discriminazione, giochi di potere
e inazione politica continuino a tormentare le vite di molti. Tra i casi citati, Arabia
Saudita, Siria, Tunisia, tuttora intolleranti nei confronti delle critiche. La repressione
in Iran, aumentata all’indomani delle proteste del popolo del dopo elezioni, quella
attuata dalla Birmania contro il dissenso politico, e poi le pressioni della Cina
su chiunque sfidi l’autorità. Purtroppo, spiega Christine Weise,
presidente di Amnesty Italia, sono ancora troppi i Paesi che cercano di bloccare il
progresso verso una vera e propria giustizia internazionale. Basti pensare che 81
Paesi ancora non hanno ratificato lo statuto della Corte penale internazionale:
“I
primi Paesi del G20, - Stati Uniti, Cina e Russia – si rifiutano di aderire allo statuto
della Corte penale internazionale ed altri Paesi del G20 come India, Indonesia, Arabia
Saudita e Turchia non ne fanno ancora parte”. Nel Rapporto di
quest’anno però non mancano anche i progressi. Il 2009, spiega Amnesty, è stato anche
un anno storico per la giustizia internazionale, in cui sono stati fatti passi avanti
significativi, chiamando a rispondere del loro operato i responsabili delle violazioni
dei diritti umani: “Pensiamo solo al mandato di arresto spiccato
nei confronti del presidente sudanese Al Bashir. E’ la prima volta che la Corte penale
internazionale emette un mandato di cattura nei confronti di un presidente in carica.
Un altro sviluppo che possiamo definire positivo riguarda quei 40 Paesi che hanno
già adottato, nella loro legislazione interna, delle modifiche che permettono l’incriminazione
per reati commessi contro il diritto internazionale. Anche questo, quindi, è un lento
progresso che va sicuramente nella direzione giusta, però i potenti di questo mondo
lo stanno chiaramente ostacolando e fermando, mentre noi, invece, vorremmo che i Paesi
– soprattutto quelli del G20 che rivendicano una leadership a livello mondiale – andassero
avanti dando il buon esempio a tutti gli altri”. E’ importante
ribadire, conclude la Weise, che nessun Paese al mondo può mettersi al di sopra della
legge: “I Paesi devono rendere conto di quello che fanno e devono
anche permettere alle persone di accedere alla giustizia per rivendicare i propri
diritti, anche i diritti economici, sociali e culturali”.