Resta incandescente la situazione al confine tra le due Coree per il pericolo di ritorsioni
militari in seguito all’inasprimento delle sanzioni nei confronti della Corea del
Nord. Ieri, il Segretario di Stato Usa, ha lasciato Seul dopo aver ribadito l’appoggio
di Washington al Sud e aver lanciato un appello alla moderazione. Intanto, anche il
Cremlino ha inviato nella penisola un gruppo di esperti per valutare le responsabilità
di Pyongyang nell’affondamento di una corvetta militare sudcoreana in cui hanno perso
la vita 46 persone. Sulla situazione lungo il 38° parallelo, ascoltiamo Luigi Bonanate,
docente di Relazioni internazionali all'Università di Torino, intervistato da Gabriella
Ceraso: R. – Mi sembra che comunque ciò che sta succedendo in questi
giorni corrisponda esattamente a quello che i manuali di teoria delle relazioni internazionali
insegnano. Tutte e due le parti stanno facendo esattamente quello che si faceva 60
anni fa: io alzo la voce, tu la alzi un po’ di più, in attesa che ci sia qualcuno
che ad un certo punto disinnesca il tutto. Il grande dubbio, che noi abbiamo oggi,
è che sia una questione nata verosimilmente da un incidente, da un errore: l’affondamento
della corvetta. Se quella cosa lì è stata un caso, ebbene non si può rischiare di
arrivare ad uno scontro aperto.
D. – A complicare
la situazione c’è anche il fatto che da 60 anni a questa parte non è stata poi definita
una linea di demarcazione tra i due Paesi, proprio nelle acque che ora sono oggetto
delle contese...
R. – Non c’è dubbio. Da un punto
di vista strettamente tecnico, le condizioni per un ultimatum, per una reazione ad
un ultimatum ci stanno tutte. Il problema è che si poteva benissimo continuare a vivere
in armistizio. Negli ultimi anni i rapporti fra le due Coree erano molto migliorati.
Ci sono stati lavoratori che andavano dall’una all’altra parte. Quindi, la separazione
delle due Coree sembrava quasi una di quelle cose che un po’ per volta si potevano
cancellare. In questo momento bisognerebbe tornare un poco allo spirito pre ’89: due
grandi potenze che si mettano in mezzo e diano una mano. Sessanta anni fa erano Stati
Uniti e Cina, oggi sono Cina e Stati Uniti.
D. –
In effetti, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, è reduce oggi da due
giorni a Pechino, e da Seul ha ribadito: la Cina è pronta ad una collaborazione, certo
una collaborazione generica. Ma la stessa Clinton ha chiesto una risposta ferma e
decisa a questo punto alla comunità internazionale. Lei che ne pensa?
R.
– Che intervenga chi può, non la generica comunità internazionale, perché lo sappiamo:
è deresponsabilizzante dire che se ne occupi la comunità internazionale. Quando tutti
quanti abbiamo detto alla Corea del Nord “brutti e cattivi”, cosa abbiamo fatto? Abbiamo
messo nell’angolo la Corea del Nord, l’abbiamo messa in particolare difficoltà e la
spingiamo magari a fare anche un atto sconsiderato.
D.
– E’ possibile che la situazione sfugga di mano a questi potenti interlocutori, Cina
e Stati Uniti?
R. – Mi viene da dire che non è possibile
che da una cosa grave in sé, ma non politicamente così grave, possa venirne fuori
uno scontro militare vero e proprio, anche perché il problema grosso è che in un attimo
sei vicino al Giappone e i rischi di 'incendio' sarebbero altissimi.
D.
– Eventualmente, invece, la conquista di una delle due parti nell’ottica di una riunificazione
della penisola come la vedrebbe?
R. – E’ un po’ come
la storia delle due Germanie. Ciascuno pensava che da un giorno all’altro avrebbe
riunificato la Germania sotto la propria bandiera. Il caso delle due credo che sia
più ridotto e limitato. Il regime comunista nord-coreano è un regime destinato allo
svuotamento, anzi, è già svuotato. E’ molto verosimile che, se non succede nulla di
più grave, questa situazione si risolva e che le due Coree si riuniscano. Naturalmente
bisogna evitare che in questa lenta transizione qualcuno faccia degli errori.