Mons. Vegliò sulla prossima plenaria delle migrazioni: Stati ricchi e vecchi a confronto
con le masse di forza-lavoro in arrivo da Asia e Africa
Sono almeno quattro i fattori fondamentali che spingono gli Stati, ma anche la Chiesa,
a interrogarsi sul fenomeno degli spostamenti migratori e a trovare delle risposte
adeguate: il fattore demografico, quello economico, quello culturale e quello della
sicurezza. Lo afferma l’arcivescovo, Antonio Maria Vegliò, nel suo intervento di apertura
alla 19.ma plenaria del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e gli Itineranti.
L’appuntamento impegnerà in Vaticano numerosi esperti, da domani a venerdì prossimo.
Il servizio di Alessandro De Carolis:
Il mondo
invecchia rapidamente e in molte nazioni ciò significa la diminuzione della popolazione
locale, nei numeri rimpiazzata da flussi migratori spesso impetuosi, provenienti soprattutto
dal Sud del mondo, specialmente dall'Asia e dall'Africa, "dove la maggioranza della
popolazione è in età giovanile". E’ questo il primo dei rilievi con il quale mons.
Vegliò tira le fila della sua analisi sui temi della plenaria, intitolata “Pastorale
della mobilità umana oggi, nel contesto della corresponsabilità degli Stati e degli
Organismi internazionali”. Al fattore demografico, il capo del dicastero pontificio
fa seguire il fattore economico. “Molte Nazioni a sviluppo avanzato – afferma – devono
fare i conti con la diminuzione della manodopera, subiscono la pressione finanziaria
per quanto riguarda le pensioni garantite dai governi e si trovano in difficoltà nell’assicurare
assistenza sanitaria agli anziani, sempre più numerosi”. L’esempio portato dal presule
è quello del Golfo Persico, dove i Paesi dell’area offrono contratti, dice, a “numerosi
lavoratori migranti per alimentare le loro economie in crescita, sotto lo stimolo
della ricchezza petrolifera”. Mentre allo stesso tempo, ricorda, “uomini e donne nei
Paesi poveri trovano lavoro con difficoltà e cercano impiego in Paesi più ricchi,
specialmente in Europa e in Nord America”.
Il terzo
fattore, prosegue mons. Vegliò, è la cultura, un termine che si declina in “etnicità,
lingua, religione, abitudini e tradizioni”. Diversamente dal passato, nota, gli emigranti
di oggi oltre a possedere “una formazione professionale limitata e meno capacità lavorative
rispetto alla popolazione locale”, sono anche “etnicamente e culturalmente differenti,
generando preoccupazioni per quanto riguarda l’integrazione e l’appartenenza culturale”.
E qui si innesta il quarto fattore, quello “cruciale” della sicurezza nazionale. Terrorismo
e crimini violenti commessi da immigrati, enfatizzati dai media, “hanno suscitato
– osserva mons. Vegliò – reazioni di rifiuto verso i migranti, anche con pregiudizio
per la sicurezza nazionale”. Di conseguenza, molti Paesi hanno rafforzato il controllo
delle frontiere, restringendo le politiche migratorie e istituendo “nuove procedure
per controllare chi arriva da determinati Paesi”. In tale scenario, ha concluso, la
Chiesa intende continuare a “offrire un prezioso contributo nel complesso e vasto
fenomeno della mobilità umana, facendosi portavoce delle persone più vulnerabili ed
emarginate”, e valorizzando in seno alle varie società i migranti e gli itineranti
come un “coefficiente importante per l’arricchimento reciproco e per la costruzione
dell’unica famiglia dei popoli, in un fecondo scambio interculturale”.