Il nuovo arcivescovo di Arbil dei Caldei, Bashar Warda: l'Iraq ha bisogno di riscoprire
la sua cristianità
Una Chiesa che ricostruisce se stessa, pur avendo alle spalle l’età stessa dei Vangeli.
E’ questa oggi la realtà delle comunità ecclesiali dell’Iraq, messe a dura prova –
e in più parti largamente scompaginate – dal protrarsi di condizioni di vita difficili
da sostenere. Ma nonostante tutto, è con fiducia che si accinge al suo nuovo lavoro
pastorale il neoarcivescovo di Arbil dei Caldei, mons. Bashar Warda, alla cui
elezione fatta dal Sinodo dei presuli locali Benedetto XVI ha dato ieri il suo assenso.
Emer Mc Carthy, collega della redazione inglese della nostra emittente, lo
ha intervistato chiedendogli di illustrare la realtà della sua diocesi:
R. – The
diocese in 2005 was a diocese of almost 2500 families ... La diocesi nel
2005 contava circa 2500 famiglie. Oggi, è una delle più grandi comunità riunite nello
stesso luogo di tutto l’Iraq. Solo ad Ankawa, ci sono 7200 famiglie cristiane, delle
quali la metà viene da Mosul e Baghdad. Questo si traduce in un processo di riconciliazione
con la nuova cultura e la nuova situazione del Paese. Noi abbiamo bisogno non tanto
di mantenere la nostra cristianità, quanto di essere missionari nel nostro ambiente.
D.
– Eccellenza, che importanza riveste la chiamata alla missionarietà per i cattolici
iracheni, per i cristiani in generale? Pur avendo una delle più antiche tradizioni
cristiane nel mondo, la maggior parte dei cristiani iracheni continua a lasciare il
Paese, nonostante gli appelli a rimanere lanciati da molti vescovi...
R.
– I think that if we meditate ... Se riflettiamo sulla Dottrina sociale
della Chiesa, penso che la Chiesa possa fare molte cose qui: tutto l’ambiente aspetta
che la Chiesa dia il via, ad esempio, a nuove iniziative nel campo dell’educazione
e della sanità, perché la comunità è alla ricerca un’entità che offra servizi con
onestà, gentilezza e amore. Tutte queste cose sono parte del messaggio della Chiesa,
fanno parte delle sue attività sociali. In questi ambiti, possiamo lanciare iniziative
per la nostra comunità irachena, non solo per i cristiani ma per tutti gli iracheni,
partendo da quella diocesi che gode di uno status di maggiore sicurezza rispetto alle
altre. Possiamo incominciare con questa iniziativa a incoraggiare i nostri giovani,
per dire loro che ci sono posti dove possono lavorare ed essere attivi nella propria
comunità. Non possiamo chiedere ai giovani di tornare a casa se non offriamo loro
delle opportunità. Come molti, penso che oggi la Chiesa abbia la migliore occasione
per agire in alcuni campi sociali, come appunto l’educazione e la sanità, e diffondere
lì la Buona Novella. Noi vorremmo vedere la Chiesa e la cristianità non soltanto come
comunità di fatto, ma come una comunità attiva.