Al fianco dei “meninos de rua” sfidando le minacce di morte: la testimonianza di padre
Chiera
L’amore vince ogni cosa: ne è convinto padre Renato Chiera, sacerdote piemontese fidei
donum, in Brasile dal 1978, dove senza risparmio di energie si batte per i diritti
dei “meninos de rua”. Fondatore della “Casa do Menor”, una rete di accoglienza per
i “ragazzi di strada” brasiliani, padre Renato porta avanti la sua opera di amore
e giustizia tra mille difficoltà e sotto il peso delle minacce di morte. In questi
giorni, padre Chiera è a Roma assieme ad alcuni dei suoi ragazzi, che mercoledì prossimo
saranno in Piazza San Pietro per l’udienza generale. Alessandro Gisotti ha
chiesto a padre Renato Chiera di raccontare come vivono “i ragazzi di strada”
nel Brasile di oggi:
R. – Il Brasile
migliora ma il popolo soffre. Il Brasile è una grande potenza ma i poveri sono ancora
poveri. Gli esclusi – e i ragazzi di strada sono tra questi esclusi – non sono stati
toccati dal progresso, nemmeno quello economico. Cosa sta succedendo? A livello giovanile
abbiamo una situazione che, a mio avviso, sta peggiorando perché sta diventando più
violenta per via dell’abbandono, della violenza della società verso questi ragazzi.
Oggi abbiamo l’invasione del crac, tutti i ragazzi di strada ne fanno uso e il crac
crea una dipendenza immediata. E’ questa droga che li fa divenire così violenti. Una
dose di crac costa cinque reali e per averla sono disposti ad ammazzare, a prostituirsi
e a fare qualunque cosa.
D. – Poi c’è sempre un problema
di risorse…
R. – Il governo le manda sempre ai municipi,
i municipi però non le ridistribuiscono e allora le associazioni come noi che lavorano
stanno chiudendo. Dopo 25 anni possiamo dire questo: da noi sono passati 100 mila
giovani, a 35 mila di loro abbiamo dato una professione ed una dignità di cittadini.
Non riusciamo però a sapere dove sono, perché i ragazzi, quando escono, si ritrovano
a vagare in giro, ma sappiamo comunque che in pochi sono ricaduti. E chi ricade, torna
da noi. Noi abbiamo una risposta efficace da dare, possiamo essere una presenza efficace
perché abbiamo una vocazione, abbiamo delle persone recuperate dalla strada e dalla
droga attraverso il Vangelo e questi ‘figli dell’abbandono’ vogliono essere ‘papà
degli abbandonati’. Solo che ci mancano i mezzi.
D.
– Una difficoltà è anche rappresentata da una nuova legge sull’adozione, in Brasile.
Perché?
R. – C’è una legge, la 1210 sull’adozione.
Noi siamo d’accordo, lo spirito della legge è buono. Bisogna adottare i giovani. Per
questo la nostra associazione si offre come famiglia. Non diamo una casa ma diamo
una famiglia, un padre ed una madre nelle nostre case. Ma c’è un articolo che io non
accetto, che dice che i ragazzi possono stare solo due anni in un’associazione, per
non istituzionalizzarla. Questo va bene quando si tratta di un bambino per poterne
accelerare l’adozione, ma quando si tratta di un ragazzo di 15, 16 o 17 anni che è
dipendente dalla droga e ne è distrutto, che ha ucciso, è ferito, è analfabeta, come
si fa in due anni a recuperarlo umanamente e spiritualmente, come si fa a sanare tutte
le ferite che ha, come si fa a scolarizzarlo o ad insegnargli un professione, un lavoro?
Ci sono dei giudici che non capiscono questo e che mandano via i ragazzi e cosa succede?
Succede che questi ragazzi vanno a casa, la loro famiglia non li vuole e loro ritornano
per strada, peggio di prima perché si sentono di nuovo abbandonati. Noi abbiamo avuto
due ragazzi che sono stati uccisi così. E’ contro questo che io lotto.
D.
– Padre Renato, recentemente lei ha ricevuto minacce di morte, ma la sua missione
va avanti…
R. – Stiamo avendo nuovamente minacce
di morte, ma questa non è una novità per noi. Adesso, però, era un po’ di tempo che
non ne ricevevamo più. Noi siamo nati con le minacce. E’ dal 28 di aprile che riceviamo
minacce: attraverso aggressioni con moto e macchine: entrano con le maschere, armati,
mostrano le armi, i ragazzi piangono e gridano. Adesso siamo un po’ preoccupati, speriamo
che non succeda niente. I ragazzi stanno capendo che noi li amiamo come la nostra
vita e sono molto sorpresi di questo, perché dicono: ‘Mio papà non viene a cercarmi
e voi siete qui con noi, non scappate. Voi rischiate la vita perché ci volete bene’.
Non è necessario dirglielo, ci guardano e dicono: ‘Ora che voi siete in difficoltà,
noi siamo con voi fino alla fine’. Loro capiscono questa presenza, la presenza di
un Dio che sta vicino fino a morire e noi facciamo la stessa cosa. Dal dolore nasce
l’opera di Dio.