Padre Pizzaballa: cristiani chiamati a dare una grande testimonianza in Terra Santa
Il padre francescano Pierbattista Pizzaballa è stato rieletto ieri dal definitorio
dell'Ordine dei Frati Minori, ed approvato dalla Santa Sede, nell’ufficio di Custode
di Terra Santa e Guardiano del Monte Sion per un triennio. Con quali sentimenti ha
accolto questa notizia? Debora Donnini lo ha chiesto allo stesso padre Pizzaballa,
raggiunto telefonicamente in Terra Santa:
R. – Anzittutto
di gratitudine per l’apprezzamento: è un segno di apprezzamento, immagino, senza falsa
modestia, del lavoro fatto e anche un invito, però, a proseguire con lena sulle indicazioni
che ci sono state date.
D. – Qual è la situazione
della Chiesa in questo momento?
R. – Come Chiesa,
la situazione rimane sempre carica di tante prospettive ma anche di tante domande.
Siamo rimasti pochi in Terra Santa, il numero dei cristiani si assottiglia; però le
sfide rimangono sempre tante. Innanzitutto, il lavoro con la comunità cristiana è
anche di accoglienza dei pellegrini che invece aumentano; di dialogo con le alte Chiese,
di rapporti con ebrei e musulmani … Quindi, al di là della nostra fragilità siamo
comunque in un crocevia molto importante della vita del mondo, dove ci viene chiesta
una grande testimonianza.
D. – Perché il numero dei
cristiani si assottiglia?
R. – Naturalmente, vi sono
ragioni di carattere politico ed economico che sono legate l’una all’altra, perché
l’instabilità politica porta anche difficoltà economiche, soprattutto per i palestinesi:
non solo il cristiano, ma soprattutto il cristiano vede nella emigrazione all’estero
la soluzione alle difficoltà che si trovano qui, alla mancanza di prospettive, soprattutto.
Ma c’è anche un lavoro di coscientizzazione della vocazione cristiana, che è importante
e che forse è l’aspetto più impegnativo che abbiamo davanti, perché essere cristiano
in Terra Santa non è una casualità: è un dono di Dio, una vocazione.
D.
– Sul fronte dei negoziati, l’inviato degli Stati Uniti, Mitchell, ha avviato la seconda
fase dei negoziati indiretti. Secondo lei, che speranze ci sono che il processo di
pace si concretizzi?
R. – Onestamente, non c’è un
grande entusiasmo intorno a questa iniziativa. E’ un dialogo zoppicante perché non
è un incontro diretto, e indica un forte clima di sospetto, un forte rancore tra le
due parti che non lascia presagire grandi prospettive. Insomma, non si intravede,
non si percepisce questo clima di desiderio di cambiare realmente i problemi che sono
qui, in Medio Oriente. Spero di sbagliare, ma non credo che ci saranno grandi cambiamenti.