Messa di Pentecoste. Il Papa: l'unità dello Spirito si manifesta nella pluralità,
no alla cultura del pensiero unico
La Chiesa non impone l’unità, come vuole il modello di Babele con l'imposizione di
una cultura dell'unità. La Chiesa è una e molteplice perché l’unità dello Spirito
si manifesta nella pluralità della comprensione: è quanto ha detto il Papa nell’omelia
per la Messa da lui presieduta nella Solennità di Pentecoste nella Basilica Vaticana.
Benedetto XVI ha spiegato gli effetti dello Spirito Santo: “Là dove ci sono lacerazioni
ed estraneità, essa crea unità e comprensione. Si innesca un processo di riunificazione
tra le parti della famiglia umana, divise e disperse; le persone, spesso ridotte a
individui in competizione o in conflitto tra loro, raggiunte dallo Spirito di Cristo,
si aprono all’esperienza della comunione, che può coinvolgerle a tal punto da fare
di loro un nuovo organismo, un nuovo soggetto: la Chiesa. Questo è l’effetto dell’opera
di Dio: l’unità; perciò l’unità è il segno di riconoscimento, il “biglietto da visita”
della Chiesa nel corso della sua storia universale. Fin dall’inizio, dal giorno di
Pentecoste, essa parla tutte le lingue. La Chiesa universale precede le Chiese particolari,
e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità.
La Chiesa non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non
si può confondere con gli Stati e neppure con le Federazioni di Stati, perché la sua
unità è di genere diverso e aspira ad attraversare tutte le frontiere umane. Da questo,
cari fratelli, deriva un criterio pratico di discernimento per la vita cristiana:
quando una persona, o una comunità, si chiude nel proprio modo di pensare e di agire,
è segno che si è allontanata dallo Spirito Santo. Il cammino dei cristiani e delle
Chiese particolari deve sempre confrontarsi con quello della Chiesa una e cattolica,
e armonizzarsi con esso. Ciò non significa che l’unità creata dallo Spirito Santo
sia una specie di egualitarismo. Al contrario, questo è piuttosto il modello di Babele,
cioè l’imposizione di una cultura dell’unità che potremmo definire “tecnica”. La Bibbia,
infatti, ci dice (cfr Gen 11,1-9) che a Babele tutti parlavano una sola lingua. A
Pentecoste, invece, gli Apostoli parlano lingue diverse in modo che ciascuno comprenda
il messaggio nel proprio idioma. L’unità dello Spirito si manifesta nella pluralità
della comprensione”. Poi ha ricordato che lo spirito Santo si manifesta come fuoco:
“Com’è diverso questo fuoco da quello delle guerre e delle bombe! Com’è diverso l’incendio
di Cristo, propagato dalla Chiesa, rispetto a quelli accesi dai dittatori di ogni
epoca, anche del secolo scorso, che lasciano dietro di sé terra bruciata. Il fuoco
di Dio, il fuoco dello Spirito Santo, è quello del roveto che divampa senza bruciare
(cfr Es 3,2). E’ una fiamma che arde, ma non distrugge; che, anzi, divampando fa emergere
la parte migliore e più vera dell’uomo, come in una fusione fa emergere la sua forma
interiore, la sua vocazione alla verità e all’amore”. Si tratta di un fuoco – ha aggiunto
– che arde, ma non brucia, trasforma: “opera una trasformazione, e perciò deve consumare
qualcosa nell’uomo, le scorie che lo corrompono e lo ostacolano nelle sue relazioni
con Dio e con il prossimo. Questo effetto del fuoco divino però ci spaventa, abbiamo
paura di essere “scottati”, preferiremmo rimanere così come siamo. Ciò dipende dal
fatto che molte volte la nostra vita è impostata secondo la logica dell’avere, del
possedere e non del donarsi. Molte persone credono in Dio e ammirano la figura di
Gesù Cristo, ma quando viene chiesto loro di perdere qualcosa di se stessi, allora
si tirano indietro, hanno paura delle esigenze della fede. C’è il timore di dover
rinunciare a qualcosa di bello, a cui siamo attaccati; il timore che seguire Cristo
ci privi della libertà, di certe esperienze, di una parte di noi stessi. Da un lato
vogliamo stare con Gesù, seguirlo da vicino, e dall’altro abbiamo paura delle conseguenze
che ciò comporta”. Il Papa ripete l’invito di Gesù ai discepoli: “Non abbiate paura”.
“Chi si affida a Gesù – ha detto - sperimenta già in questa vita la pace e la gioia
del cuore, che il mondo non può donare, e non può nemmeno togliere una volta che Dio
ce le ha donate. Vale dunque la pena di lasciarsi toccare dal fuoco dello Spirito
Santo!. Il dolore che ci procura è necessario alla nostra trasformazione. E’ la realtà
della croce: non per nulla nel linguaggio di Gesù il “fuoco” è soprattutto una rappresentazione
del mistero della croce, senza il quale non esiste cristianesimo. Perciò, illuminati
e confortati da queste parole di vita, eleviamo la nostra invocazione: Vieni, Spirito
Santo! Accendi in noi il fuoco del tuo amore! Sappiamo che questa è una preghiera
audace, con la quale chiediamo di essere toccati dalla fiamma di Dio; ma sappiamo
soprattutto che questa fiamma – e solo essa – ha il potere di salvarci. Non vogliamo,
per difendere la nostra vita, perdere quella eterna che Dio ci vuole donare. Abbiamo
bisogno del fuoco dello Spirito Santo, perché solo l’Amore redime. Amen".