Benedetto XVI nella Solennità di Pentecoste: lo Spirito Santo unisce la Chiesa nella
diversità, Babele impone la cultura dell'unità
La Chiesa non impone l’unità, come vuole il modello di Babele con l'imposizione di
una cultura dell'unità. La Chiesa è una e molteplice perché l’unità dello Spirito
si manifesta nella pluralità della comprensione: è quanto ha detto il Papa, stamani,
nella Messa da lui presieduta nella Solennità di Pentecoste nella Basilica Vaticana.
Il servizio di Sergio Centofanti.
(canto)
La
Chiesa nel giorno di Pentecoste invoca con forza il dono dello Spirito Santo, un dono
– afferma il Papa - che “Gesù ha chiesto e continuamente chiede al Padre per i suoi
amici; il primo e principale dono che ci ha ottenuto con la sua Risurrezione e Ascensione
al Cielo”. Ma quali sono gli effetti dello Spirito Santo?
“Là
dove ci sono lacerazioni ed estraneità, essa crea unità e comprensione. Si innesca
un processo di riunificazione tra le parti della famiglia umana, divise e disperse;
le persone, spesso ridotte a individui in competizione o in conflitto tra loro, raggiunte
dallo Spirito di Cristo, si aprono all’esperienza della comunione, che può coinvolgerle
a tal punto da fare di loro un nuovo organismo, un nuovo soggetto: la Chiesa. Questo
è l’effetto dell’opera di Dio: l’unità; perciò l’unità è il segno di riconoscimento,
il ‘biglietto da visita’ della Chiesa nel corso della sua storia universale”.
La
Chiesa – sottolinea Benedetto XVI – fin dal giorno di Pentecoste “parla tutte le lingue”:
è nello stesso tempo “una e molteplice” essendo costituita dalla duplice dimensione
di “unità e universalità”. Da qui deriva “un criterio pratico di discernimento per
la vita cristiana”:
“Quando una persona, o una
comunità, si chiude nel proprio modo di pensare e di agire, è segno che si è allontanata
dallo Spirito Santo. Il cammino dei cristiani e delle Chiese particolari deve sempre
confrontarsi con quello della Chiesa una e cattolica, e armonizzarsi con esso. Ciò
non significa che l’unità creata dallo Spirito Santo sia una specie di egualitarismo.
Al contrario, questo è piuttosto il modello di Babele, cioè l’imposizione di una cultura
dell’unità che potremmo definire “tecnica”. La Bibbia, infatti, ci dice (cfr Gen 11,1-9)
che a Babele tutti parlavano una sola lingua. A Pentecoste, invece, gli Apostoli parlano
lingue diverse in modo che ciascuno comprenda il messaggio nel proprio idioma. L’unità
dello Spirito si manifesta nella pluralità della comprensione”.
La
Chiesa guarda oltre gli orizzonti geografici e “supera muri e barriere”:
“La
Chiesa non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non si
può confondere con gli Stati e neppure con le Federazioni di Stati, perché la sua
unità è di genere diverso e aspira ad attraversare tutte le frontiere umane”.
Il
Papa ricorda che a Pentecoste lo Spirito Santo si manifesta come fuoco che dà ai discepoli
“il nuovo ardore di Dio” per rinnovare la faccia della terra:
“Com’è
diverso questo fuoco da quello delle guerre e delle bombe! Com’è diverso l’incendio
di Cristo, propagato dalla Chiesa, rispetto a quelli accesi dai dittatori di ogni
epoca, anche del secolo scorso, che lasciano dietro di sé terra bruciata. Il fuoco
di Dio, il fuoco dello Spirito Santo, è quello del roveto che divampa senza bruciare
(cfr Es 3,2). E’ una fiamma che arde, ma non distrugge; che, anzi, divampando fa emergere
la parte migliore e più vera dell’uomo, come in una fusione fa emergere la sua forma
interiore, la sua vocazione alla verità e all’amore”.
E’
un fuoco che “arde ma non brucia”, operando una trasformazione: deve infatti “consumare
qualcosa nell’uomo, le scorie che lo corrompono e lo ostacolano nelle sue relazioni
con Dio e con il prossimo. Questo effetto del fuoco divino – spiega il Papa - ci spaventa,
abbiamo paura di essere ‘scottati’, preferiremmo rimanere così come siamo”:
“Ciò
dipende dal fatto che molte volte la nostra vita è impostata secondo la logica dell’avere,
del possedere e non del donarsi. Molte persone credono in Dio e ammirano la figura
di Gesù Cristo, ma quando viene chiesto loro di perdere qualcosa di se stessi, allora
si tirano indietro, hanno paura delle esigenze della fede. C’è il timore di dover
rinunciare a qualcosa di bello, a cui siamo attaccati; il timore che seguire Cristo
ci privi della libertà, di certe esperienze, di una parte di noi stessi. Da un lato
vogliamo stare con Gesù, seguirlo da vicino, e dall’altro abbiamo paura delle conseguenze
che ciò comporta”.
Il Papa ripete l’esortazione
di Gesù ai discepoli:
“’Non abbiate paura’. Come
Simon Pietro e gli altri, dobbiamo lasciare che la sua presenza e la sua grazia trasformino
il nostro cuore, sempre soggetto alle debolezze umane. Dobbiamo saper riconoscere
che perdere qualcosa, anzi, se stessi per il vero Dio, il Dio dell’amore e della vita,
è in realtà guadagnare, ritrovarsi più pienamente. Chi si affida a Gesù sperimenta
già in questa vita la pace e la gioia del cuore, che il mondo non può donare, e non
può nemmeno togliere una volta che Dio ce le ha donate. Vale dunque la pena di lasciarsi
toccare dal fuoco dello Spirito Santo!”
“Il dolore
che ci procura è necessario alla nostra trasformazione. E’ la realtà della croce”
– prosegue il Papa – è il “mistero della croce, senza il quale non esiste cristianesimo”.
Benedetto XVI conclude la sua omelia con l’invocazione allo Spirito:
“Vieni,
Spirito Santo! Accendi in noi il fuoco del tuo amore! Sappiamo che questa è una preghiera
audace, con la quale chiediamo di essere toccati dalla fiamma di Dio; ma sappiamo
soprattutto che questa fiamma – e solo essa – ha il potere di salvarci. Non vogliamo,
per difendere la nostra vita, perdere quella eterna che Dio ci vuole donare. Abbiamo
bisogno del fuoco dello Spirito Santo, perché solo l’Amore redime. Amen”.
(canto)
Dopo
la Messa in Basilica, il Papa ha guidato il Regina Coeli dalla finestra del suo studio
privato. Decine di migliaia i fedeli presenti in Piazza San Pietro in una stupenda
giornata di sole. Benedetto XVI ha sottolineato che la Chiesa “vive costantemente
della effusione dello Spirito Santo” e conosce innumerevoli “pentecoste”, come il
Concilio Vaticano II. “Non c’è dunque Chiesa senza Pentecoste” – ha detto - e “non
c’è Pentecoste senza la Vergine Maria” come hanno mostrato gli incontri nel suo recente
viaggio a Fatima, dove un’immensa moltitudine si è radunata in preghiera con “un
cuore solo e un’anima sola”. Il Papa ha rinnovato quindi la sua preghiera, “in quest’Anno
Sacerdotale, per tutti i ministri del Vangelo, affinché il messaggio della salvezza
sia annunciato a tutte le genti”.
Ha poi ricordato
che ieri, a Benevento, è stata proclamata Beata Teresa Manganiello, fedele laica,
appartenente al Terz’Ordine Francescano. La Messa è stata presieduta dall'arcivescovo
Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Undicesima figlia
di una famiglia di contadini, vissuta nell’Ottocento, ha trascorso “una vita semplice
e umile, tra le faccende di casa e l’impegno spirituale nella chiesa dei Cappuccini”:
“Come san Francesco d’Assisi cercava di imitare
Gesù Cristo offrendo sofferenze e penitenze per riparare i peccati, ed era piena di
amore per il prossimo: si prodigava per tutti, specialmente per i poveri e i malati.
Sempre sorridente e dolce, a soli 27 anni è partita per il Cielo, dove già il suo
cuore abitava. Rendiamo grazie a Dio per questa luminosa testimone del Vangelo!”
Il
Papa ha ricordato anche che domani 24 maggio, memoria liturgica della Beata Vergine
Maria, Aiuto dei Cristiani, si celebra la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina:
“Mentre
i fedeli che sono in Cina pregano affinché l'unità tra di loro e con la Chiesa universale
si approfondisca sempre di più, i cattolici nel mondo intero - specialmente quelli
che sono di origine cinese - si uniscono a loro nell’orazione e nella carità, che
lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori particolarmente nella solennità odierna”. Infine,
ha rivolto il suo saluto ai membri del Movimento per la Vita, che “promuove la cultura
della vita e concretamente aiuta tante giovani donne a portare a termine una gravidanza
difficile”:
“Cari amici, con voi ricordo le parole
della Beata Teresa di Calcutta: ‘Quel piccolo bambino, nato e non ancora nato, è stato
creato per una grande cosa: amare ed essere amato’”.