Ultimi film a Cannes prima del verdetto che assegnerà la Palma d’Oro del 63.mo Festival
del Cinema e ultime delusioni nella competizione internazionale che mai come quest’anno
ha sofferto delle contrazioni di un mercato cinematografico condizionato dalla crisi
economica. Sono passati in questi due giorni titoli che, nonostante abbiano come comune
denominatore la Storia, rischiano di non lasciare traccia nella memoria degli spettatori.
“Fair Game”, di Doug Liman ripercorre stancamente un caso che ha scosso l’America:
la costruzione della menzogna dell’uranio arricchito in mano a Saddam Hussein che
determinò l’invasione dell’Iraq. “Hors La Loi” di Rachid Bouchareb traccia metodicamente
il percorso strategico seguito dal Fronte di liberazione nazionale algerino per giungere
all’indipendenza del Paese, tra eccidi di colonizzatori francesi e terrorismo della
guerriglia. “Route Irish” di Ken Loach racconta amaramente la vicenda di un militare
inglese, intento a rimediare con la violenza agli errori dell’ingiusto conflitto iracheno.
“L’esodo. Sole ingannatore 2” di Nikita Mikhalkov celebra, con una certa vis retorica,
la resistenza russa all’invasione nazista nell’ultimo conflitto mondiale. Tutte queste
pellicole hanno dalla loro parte la forza dell’industria e vogliono essere al tempo
stesso didattiche e spettacolari. Il problema è che tali intenti non sono sostenuti
dall’ispirazione e finiscono per rivelare la loro natura di merce, in preda ad un’estetica
che li destina più che allo schermo cinematografico, alla routine della televisione.
Molto più interessanti risultano altri tre film, ripartiti fra Concorso e Certain
Regard. “Tender Son – The Frankenstein Project” di Kornél Mundruczó segue con intensità
emotiva e stile controllato l’educazione sentimentale di un giovane. “Octubre” di
Daniel e Diego Vega è l’efficace ritratto di un usuraio del sottoproletarieto andino,
alle prese con un trovatello, una solitudine disperata e grandi slanci mistici. “Hahaha”
di Hong Sangsoo è un’agrodolce commedia umana i cui protagonisti, due amici, si confidano
le rispettive vicende amorose, rivelando la volubilità dei sentimenti e il cinismo
che sovente li accompagna. In questi tre casi il cinema non è più solo affare di mercato;
la cura estetica, il rispetto etico delle situazioni ed i personaggi danno allo spettatore
la sensazione di assistere ad una vera esperienza umana. E’ quanto avviene in maniera
magica ed emotivamente sorprendente in quello che, a nostro avviso, è uno dei più
bei film del concorso, “Uncle Boonmee Who Can Recall His Past Lives” di Apichatpong
Weerasethakul: proprio mentre il suo Paese è sull’orlo della guerra civile, il regista
thailandese ci consegna una storia che attraversa i tempi, ricordandoci la quieta
potenza dell’amore. Tratto dal libro di un monaco buddista, il film segue gli ultimi
giorni di un uomo che, in imminenza della morte, ha accesso al regno dell’invisibile.
Largamente infiltrato dal mito, esso si muove tra fantasmi, uomini diventati scimmie
per amore, principesse consolate da divinità della natura, corpi e spiriti che si
separano per aver ciascuno la propria visione del mondo. In attesa delle decisioni
delle giurie, è questo il più bel commiato che il Festival ci potesse dare. (Da
Cannes, Luciano Barisone)