2010-05-21 12:46:14

La liberazione dei detenuti politici al centro dell'importante incontro tra i vertici della Chiesa cubana e il presidente Raul Castro


Un evento “molto positivo” che costituisce una rilevante “novità” per Cuba: così il cardinale Jaime Ortega Alamino, arcivescovo dell’Avana, ha definito, ieri, durante una conferenza stampa, l’importante incontro, avvenuto mercoledì scorso, tra i vertici della Chiesa cubana e il presidente Raul Castro. Erano presenti anche mons. Dionisio García, arcivescovo di Santiago di Cuba e presidente della Conferenza episcopale cubana, e Caridad Diego, capo dell’Ufficio per rapporti religiosi del Comitato centrale del Partito comunista. Un incontro che, per ufficialità e per solennità, non si registrava da diversi anni: il cardinale Ortega ha spiegato che le quattro ore di conversazione sono state incentrate esclusivamente sulla questione dei prigionieri politici, di cui la Chiesa chiede la liberazione. “Si tratta - ha aggiunto - di un buon inizio, che apre le porte a un trattamento serio della questione”. Insistendo sulla natura dell’incontro - definito “dialogo e conversazione” - l’arcivescovo ha rilevato che non si “tratta di alleanze o compromessi”, bensì di possibile gestione, di “mediazione e conciliazione” nel rispetto “della libertà religiosa garantita dalla Costituzione e dell’autonomia” dello Stato e della Chiesa. Dunque, una Chiesa che diventa interlocutrice? Sergio Centofanti ne ha parlato con il nostro collega Luis Badilla, esperto di questioni latinoamericane:RealAudioMP3

R. – Mi sembra che questa sia la cosa più importante e ieri il cardinale Ortega, nella sua conferenza stampa, lo ha sottolineato a più riprese: viene riconosciuto il ruolo della Chiesa nel contesto della società cubana. Cosa inedita questa, perché non era mai accaduta. Va, infatti, ricordato che spesso i vescovi incontravano le massime autorità nei cocktail diplomatici, ma raramente – ed ormai erano parecchi anni che ciò non accadeva – incontravano le autorità più alte dello Stato. Il fatto, quindi, che siano stati convocati dal presidente, si siano fermati a parlare per lunghe ore e che sia stata chiesta alla Chiesa una mediazione specifica nell’ambito dei prigionieri politici è il riconoscimento ufficiale, definitivo - e che arriva dopo cinquant’anni - che questa Chiesa a Cuba esiste, conta ed è importante.

 
D. - In concreto, dove dovrebbe condurre questo dialogo?

 
R. – Su questo il cardinale Ortega è stato ieri molto preciso. Ha detto che si tratta dell’inizio di una conversazione: “Abbiamo aperto un dialogo, sappiamo su cosa dobbiamo lavorare”. Si dovrà ora aspettare e vedere già nelle prossime settimane o forse anche nei prossimi giorni - ricordiamo che di mezzo c’è una persona che sta facendo uno sciopero della fame e che rischia ogni minuto la sua vita – se la Chiesa - immagino io perché in questo non abbiamo molte informazioni - sarà in grado, e penso che lo sarà, di proporre un piano, una modalità, per uscire da questa situazione, dando la libertà in diversi modi a questi prigionieri politici, che oggi come oggi si calcolano intorno ai 200-240.

 
D. - Ieri il cardinale Ortega ha parlato del dialogo come il “nuovo nome della pace”. Come interpretare questo pensiero all’interno dell’odierna realtà cubana?

 
R. – Secondo me è fondamentale ed è una questione chiave. Il problema della società cubana, fra tanti altri problemi, in questo momento è che non c’è comunicazione fra i diversi settori sociali, tra la società, il popolo, le autorità. Il cardinale ritiene – e questo lo aveva già detto tre settimane fa – che la cosa primordiale e fondamentale in questo momento è quella di riuscire a parlarsi, che tutti dicano, l’un l’altro, cosa pensano e come vedono il futuro del Paese. Se non si dialoga, non si trovano soluzioni, non si superano le controversie e il Paese non progredisce: anzi – come diceva il cardinale Ortega - si rischia di arrivare alle soluzioni soltanto quando queste sono ormai inutili ed inefficaci.

 
D. - Fra poco visiterà Cuba mons. Dominique Mamberti per inaugurare le Settimane sociali. Come leggere questa sua presenza in questo momento?

 
R. – Anzitutto come la continuazione di una presenza, di una sollecitudine della Santa Sede e in particolare del Papa nei confronti di Cuba, che viene da lontano, da diversi anni, da diversi decenni. Mons. Mamberti arriva dopo la recente visita di mons. Celli e la precedente visita del cardinale segretario di Stato Bertone. E’ vero che lui va per l’inaugurazione delle Settimane Sociali, ma è anche vero che lui arriva nel momento in cui si celebrano i 75 anni dei rapporti diplomatici ininterrotti fra Cuba e Santa Sede. Questo è certamente un altro momento importante – immagino io – per poter riflettere sul rapporto tra Stato-società e Stato-Chiesa nell’isola cubana.







All the contents on this site are copyrighted ©.