C'è bisogno di politici cristiani coerenti, aperti al dialogo e alla collaborazione:
così il Papa alla plenaria dei Laici
“C’è bisogno di politici autenticamente cristiani”: è l’esortazione di Benedetto XVI
contenuta nel discorso ai partecipanti alla 24.ma assemblea plenaria del Pontificio
Consiglio per i Laici, riunita in questi giorni a Roma sul tema “Testimoni di Cristo
nella comunità politica”. Il Papa ha ribadito la necessità della promozione di quei
valori propri della Dottrina Sociale della Chiesa, come vita, famiglia, solidarietà
con i poveri, libertà, ricerca del bene comune, che garantiscono un autentico sviluppo
della società. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dal cardinale presidente
del dicastero, Stanislaw Rylko. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“I cristiani
non cercano l’egemonia politica o culturale”, ma si impegnano perché sono certi che
“Cristo è la pietra angolare di ogni costruzione umana”: è quanto sottolineato da
Benedetto XVI, che ha ribadito la necessità per i laici di essere testimoni del Vangelo
“in tutte le loro attività e ambienti”:
“Spetta
ai fedeli laici mostrare concretamente nella vita personale e familiare, nella vita
sociale, culturale e politica, che la fede permette di leggere in modo nuovo e profondo
la realtà e di trasformarla; che la speranza cristiana allarga l’orizzonte limitato
dell’uomo e lo proietta verso la vera altezza del suo essere, verso Dio; che la carità
nella verità è la forza più efficace in grado di cambiare il mondo; che il Vangelo
è garanzia di libertà e messaggio di liberazione”. Quindi
ha evidenziato che i principi fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa “sono
di grande attualità e valore per la promozione di nuove vie di sviluppo al servizio”
di ogni uomo. Parole corredate da una viva esortazione:
“Compete
ancora ai fedeli laici partecipare attivamente alla vita politica, in modo sempre
coerente con gli insegnamenti della Chiesa, condividendo ragioni ben fondate e grandi
ideali nella dialettica democratica e nella ricerca di un largo consenso con tutti
coloro che hanno a cuore la difesa della vita e della libertà, la custodia della verità
e del bene della famiglia, la solidarietà con i bisognosi e la ricerca necessaria
del bene comune”. Richiamando i suoi predecessori, il Papa
ha affermato che “la politica è un ambito molto importante dell’esercizio della carità”.
Essa, infatti, “richiama i cristiani a un forte impegno per la cittadinanza, per la
costruzione di una vita buona nelle nazioni, come pure ad una presenza efficace nelle
sedi e nei programmi della comunità internazionale”.
“C’è
bisogno di politici autenticamente cristiani, ma prima ancora di fedeli laici che
siano testimoni di Cristo e del Vangelo nella comunità civile e politica. Questa esigenza
dev’essere ben presente negli itinerari educativi delle comunità ecclesiali e richiede
nuove forme di accompagnamento e di sostegno da parte dei Pastori”.
L’appartenenza
dei cristiani ad associazioni e movimenti, ha detto ancora, “può essere una buona
scuola per questi discepoli e testimoni, sostenuti dalla ricchezza carismatica, comunitaria,
educativa e missionaria propria di queste realtà”. I tempi che stiamo vivendo, è stata
ancora la sua riflessione, “ci pongono davanti a grandi e complessi problemi”. La
“questione sociale” è diventata infatti anche una “questione antropologica”. In particolare,
ha poi indicato il rischio del “diffondersi di un confuso relativismo culturale e
di un individualismo utilitaristico ed edonista che indebolisce la democrazia e favorisce
il dominio dei poteri forti”: “Bisogna recuperare
e rinvigorire un’autentica sapienza politica; essere esigenti in ciò che riguarda
la propria competenza; servirsi criticamente delle indagini delle scienze umane; affrontare
la realtà in tutti i suoi aspetti, andando oltre ogni riduzionismo ideologico o pretesa
utopica”. Bisogna “mostrarsi aperti ad ogni vero dialogo
e collaborazione”, ha proseguito, “tenendo presente che la politica è anche una complessa
arte di equilibrio tra ideali e interessi”. Tuttavia, è stato il suo richiamo, non
va dimenticato “che il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza
della fede diventa intelligenza della realtà, chiave di giudizio e di trasformazione”.
È necessaria una vera “rivoluzione dell’amore”, ha concluso il Papa. Una rivoluzione
che spetta innanzitutto alle nuove generazioni, chiamate ad un impegno “sociale e
politico”, “un impegno fondato non su ideologie o interessi di parte, ma sulla scelta
di servire l’uomo e il bene comune, alla luce del Vangelo”.
Uno
dei temi forti della plenaria è stato il binomio politica e democrazia nell'esperienza
di un fedele laico. Per una riflessione su questo argomento, Paolo Ondarza
ha intervistato il prof. Lorenzo Ornaghi, rettore dell'Università Cattolica
del Sacro Cuore:
R. – Quanto
oggi le democrazie riescono a contenere la politica o la politica rischia di erodere
quei valori che sono valori fondativi della politica e quindi essere una politica
non più contenibile dentro la democrazia, credo sia una questione importante, perché,
come osserva qualche studioso, siamo non solo nell’età della sfiducia rispetto alla
politica, ma anche in ciò che lo stesso studioso chiama la “contropolitica”. Ecco,
questo credo sarebbe molto, molto pericoloso per le sorti della democrazia.
D.
– A questo proposito, si sta parlando in questa sede anche della disaffezione alla
politica, un male che affligge anche i laici cattolici, che non di rado vanno a votare
il “meno peggio”. Come recuperare?
R. – Recuperando
la politica buona, la politica ancora delle sue virtù, la politica delle sue caratteristiche
naturali, dobbiamo ritrovare gli aspetti positivi della politica sulla base del convincimento
che, agostinianamente, la politica può anche essere considerata come rimedio del peccato
originale. La politica, però, per far crescere una collettività è assolutamente indispensabile.
D. – Talvolta votare il “meno peggio” significa
anche tradire una propria coerenza a certi valori...
R.
– Formare, educare ad un impegno politico, in modo tale che i cattolici siano davvero
una presenza attiva e rilevante, richiede di guardare oltre il nostro immediato presente:
richiede una visione, non perché il delineare una visione debba fare sfuggire i problemi
del presente, ma perché consente di risolverli meglio.
D.
– Il cardinale Rylko ha evidenziato un paradosso della democrazia. Ha detto: “Strana
tolleranza quella che non tollera chi si chiama fuori dal politicamente corretto”.
Il cristiano in politica non può parlare il linguaggio del politicamente corretto
... e allora come inserirsi?
R. – Inserendosi con
le proprie convinzioni e inserendosi in maniera convinta sulla base delle proprie
convinzioni, che non è un gioco di parole. Credo che il far valere le proprie convinzioni
in maniera convinta significhi sfuggire ad ogni trappola del conformismo. Anch’io
ho richiamato la necessità, non solo, di comportamenti nuovi, soprattutto che intendano
correggere alcuni degli attuali fatti più negativi, ma anche di idee nuove, che è
il rapporto tra cultura e politica. Le idee nuove sono ciò che spezza la rete degli
stereotipi culturali e dei luoghi comuni.(Montaggio a cura di Maria Brigini)