Marea nera: continua il lavoro del tubo aspirante inserito nella falla
Riuscirà ad aspirare 2000 barili di greggio al giorno il tubo inserito all'interno
della conduttura che sta disperdendo petrolio nel Golfo del Messico. Ad annunciarlo
la British Petroleum, per la prima volta dal 20 aprile, quando è esplosa la piattaforma
petrolifera Deepwater Horizon. Secondo la compagnia petrolifera, il tentativo per
arginare la massiccia perdita sottomarina punta a raccogliere il 40% del flusso disperso
in mare quotidianamente. Nei prossimi giorni poi si tenterà di otturare la valvola
di sicurezza con una sostanza chimica oppure con detriti vari, per ostruire la sorgente
della perdita. Il presidente statunitense Obama, intanto, starebbe pensando alla creazione
di una Commissione d'inchiesta presidenziale per appurare le cause dell'incidente
alla piattaforma. Mentre entro la fine del mese sono state annunciate le dimissioni
del responsabile dell’agenzia governativa Usa che gestisce il programma di trivellazioni
petrolifere offshore. Ma gli ultimi sforzi per tentare di fermare la fuoriuscita
di petrolio saranno sufficienti a bloccare la marea nera? Giada Aquilino lo
ha chiesto a Matteo Mascia, coordinatore del progetto Etica e Politica ambientale
della Fondazione Lanza di Padova:
R. – Per
quello che sappiamo no, nel senso che le prime informazioni davano una fuoriuscita
di 5 mila barili al giorno, adesso si parla addirittura di molti, molti di più. Quindi,
questo piccolo tubo risolve in minima parte il problema. Certo, comunque, è un aspetto
positivo. E’ almeno un primo tentativo riuscito di ridurre le emissioni di petrolio.
Ma il problema rimane: è un problema di dimensioni catastrofiche, come non era mai
successo, almeno da quello che ci risulta, in altri incidenti di questo tipo. D.
– In settimana la Bp tenterà di otturare la valvola di sicurezza per bloccare la sorgente.
Sarà possibile? R. – Spero proprio di sì, nel senso che c’è
bisogno comunque di trovare una modalità per ridurre ulteriormente, se non bloccare
completamente, il flusso di petrolio che sta inquinando il Golfo del Messico, per
cui questi tentativi vanno fatti e speriamo abbiano successo. Certamente le difficoltà
sono enormi, visto che parliamo di profondità molto elevate. Siamo a più di 1500 metri,
con un pozzo scavato per oltre seimila metri. Le difficoltà, anche tecnologiche, sono
enormi e questo ovviamente aumenta, se vogliamo, le responsabilità di quanti erano
chiamati a monitorare e a controllare affinché non potesse succedere un incidente
di queste proporzioni. D. – Entro fine mese si dimetterà il
responsabile dell’agenzia governativa statunitense, messa sotto accusa dall’opinione
pubblica per la gestione del programma di trivellazioni petrolifere offshore.
Si sospetta che non siano stati effettuati i necessari controlli sul programma di
prospezione. Generalmente che verifiche si effettuano? R. –
Credo che ci sia tutta una serie di procedure che devono riguardare intanto l’autorizzazione
alla possibilità di attuare questi tipi di perforazioni e poi una serie di procedure
di carattere tecnico, di sicurezza, sia legata al lavoro, sia ambientale. D.
– Quanto accaduto cosa insegna? Cosa dovrebbe cambiare nel campo della politica ambientale? R.
– Lo sforzo principale che bisognerà fare è quello di contabilizzare. Noi dobbiamo
riuscire a mettere in conto, in un percorso di costi e benefici di tipo economico,
cosa vuol dire un rischio di questo tipo. Una catastrofe come quella che è avvenuta
nel Golfo del Messico avrà delle ripercussioni dal punto di vista sociale ed economico,
per il sistema economico del luogo, ma anche per quanto riguarda l’impatto ambientale
e i costi che comporterà il ripristino: vorrà dire comunque costi che non potremo
mai calcolare. Per esempio, la morte e la distruzione di interi ecosistemi marini
o di specie animali. Quindi, una prima fase, secondo me, sarebbe quella di cercare
di capire se effettivamente è conveniente l’estrazione del petrolio da situazioni
che possono avere delle conseguenze ambientali e quindi anche economiche così pesanti.
In secondo luogo, dobbiamo costruire dei percorsi che ci possano portare nel giro
di 20 anni o 30 anni ad avere una produzione di energia attraverso una serie di progetti
che portino a rafforzare l’energia da fonti rinnovabili, portino a rafforzare l’efficienza
energetica e portino a rafforzare la riduzione del consumo di energia, in modo tale
da diminuire potenzialmente i rischi di catastrofi come questa.