Attentato in Afghanistan: morti due soldati italiani. La testimonianza di mons.
Pelvi
Militari italiani ancora nel mirino in Afghanistan: due soldati sono stati uccisi
oggi e altri due sono rimasti gravemente feriti, in seguito ad un violento attentato
nel Nord Est del Paese, nella zona vicino ad Herat. Cordoglio unanime dal mondo politico
e religioso. Il capo della Farnesina, Franco Frattini, ha espresso profondo dolore
per l’accaduto ed ha dichiarato: ''La missione italiana in Afghanistan non è in discussione".
Mons Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia ribadisce: “I nostri soldati
sono esempi di gratuità di vita”. Il servizio di Cecilia Seppia.
Il sergente
Massimiliano Ramadù, 33 anni, di Velletri, e il caporalmaggiore Luigi Pascazio, 25
anni, della provincia di Bari: sono i due italiani rimasti uccisi nell’attentato di
oggi in Afghanistan. I militari erano a bordo di un blindato Lince in testa ad una
colonna composta da decine di automezzi di diverse nazionalità, partita da Herat e
diretta a Bala Murghab, più a Nord. In tutto 400 soldati impegnati in un trasferimento
operativo. L'esplosione improvvisa di un ordigno ha colpito in pieno il blindato:
altri due soldati italiani, tra cui una donna, sono rimasti gravemente feriti alle
gambe, ma secondo fonti dell’Isaf, non sarebbero in pericolo di vita. Le salme dei
due caduti - ha detto il ministro della difesa La Russa - rientreranno in Italia mercoledì
prossimo. Intanto, si riaccende sul fronte politico l’annoso dibattito circa l’importanza
e la necessità di questa missione. Il capo della Farnesina Frattini assicura: la nostra
presenza nel Paese non è in discussione e operiamo per la sicurezza e il bene del
popolo afghano. Critiche dall’opposizione che sollecita una riflessione accurata sulle
ragioni e le modalità di questa missione. Ma c’è davvero bisogno di un cambio di strategia?
Risponde Andrea Margelletti, esperto di geopolitica:
“Non
si può avere solo una soluzione militare, ma è necessario mettere sul tavolo tutte
le realtà afghane. Solo adesso la coalizione internazionale, ovviamente in primis
gli americani, si sono convinti che non è possibile soltanto utilizzare le armi, ma
ci vuole una forte spinta politica. Dall’Afghanistan sono partite le minacce di Al
Qaeda ed è fondamentale che quel Paese sia stabilizzato, affinché in Europa, negli
Stati Uniti, la minaccia che proviene da quelle aree possa essere ridotta al minimo.
Ricordiamo che è uno sforzo della coalizione internazionale: se un ingranaggio funziona
molto bene, ma gli altri no, tutto il sistema non funziona”. Sono
attualmente circa 3.300 i militari italiani impegnati, a vario titolo, nella missione
Isaf in Afghanistan. Un contingente che dovrebbe arrivare, a ottobre prossimo, a circa
4 mila uomini come stabilito nelle intese con l'amministrazione statunitense. Un impegno,
quello delle forze internazionali nel Paese asiatico che ha fatto registrare un forte
tributo di sangue con 200 militari, di diverse nazionalità morti, dall’inizio dell’anno.
Ma come poter valutare questi sacrifici? Mons. Vincenzo Pelvi,
Ordinario militare per l’Italia:
“Fatti del genere, come quello capitato
in Afghanistan stamani, segnano di sangue la storia della nostra nazione, ma direi
diventano un seme ed un’opportunità di fiducia, perché si possa continuare a guardare
ai popoli come ad un’unica e bella famiglia umana. Le missioni internazionali per
la sicurezza e la concordia dei popoli sono un’esperienza di evangelica speranza.
Il militare ha un’etica ed è l’etica del dono, del dono di sé, che è il senso vero
del servizio ai popoli”.