Il cardinale Ruini: considerare l'uomo come un fine, mai come un mezzo
In un mondo dominato dal nichilismo le vere emergenze da fronteggiare sono il naturalismo
e il relativismo. Il monito è stato lanciato dall’ex presidente della Cei, cardinale
Camillo Ruini, nel suo intervento al convegno annuale dei centri culturali cattolici
della diocesi di Milano, di cui riferisce l’Ansa. Nel suo intervento, il porporato
ha detto che “una spiegazione seria dell'emergenza educativa in cui ci troviamo rimanda
al predominio del relativismo nella nostra cultura e vita sociale”. Per questo motivo,
“quando vengono a mancare, come orizzonte della nostra vita, la luce e la certezza
della verità, al punto che, anche in ambito educativo, lo stesso parlare di verità
viene considerato pericoloso ed autoritario e, parallelamente, sul piano etico, si
ritiene infondato e lesivo della libertà ogni riferimento ad un bene oggettivo che
preceda le nostre scelte e possa essere il criterio della loro valutazione, diventa
inevitabile dubitare della bontà della vita e della consistenza dei rapporti e degli
impegni di cui la vita è intessuta”. Questo rischio, secondo Ruini, viene alimentato
dal “naturalismo”, che riduce l'uomo ad un elemento della natura. “Oggi il pericolo
è molto aumentato – ha proseguito il cardinale - perché sta diventando egemone l'idea
che il soggetto umano non sia altro che un risultato dell'evoluzione cosmica e biologica”.
E sono proprio il nichilismo ed il naturalismo che, secondo il cardinale Ruini, hanno
alimentato la tecnoscienza: “Negli ultimi decenni le scienze empiriche e le tecnologie,
nella loro sempre più stretta connessione che spinge a parlare di tecnoscienza, hanno
avuto decisivi sviluppi nelle loro applicazioni all'uomo, con quelle che chiamiamo
biotecnologie”. L'ex presidente della Cei è quindi ricorso alla Gaudium et Spes (Concilio
Vaticano II), dove è scritto che l'uomo è l'unica creatura sulla terra che ''Dio abbia
voluto per se stessa'', e al pensiero di Emmanuel Kant, secondo il quale l'uomo deve
essere sempre considerato “come un fine e mai come un mezzo”. (M.G.)