Fiera di Torino. Il cardinale Bagnasco: non rassegnarsi al fast food della cultura
Non dobbiamo rassegnarci “al fast food pseudo culturale, alla epidermide delle gratificazioni
istantanee, alla rassegnata abdicazione dei depressi”. Così ieri il cardinale Angelo
Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, durante una lectio magistralis
su “Segni della memoria e sfida educativa” nell’ambito della manifestazione “I segni
della memoria. L’Uomo della Sindone”, organizzata all’interno del Salone internazionale
del libro in corso a Torino. Il porporato ha incentrato il suo intervento sul tema
della fede. La tendenza alla privatizzazione della fede – ha sottolineato – declina
oggi in religiosità di consumo, sublimato autoreferenziale, del tutto sganciata dal
vissuto quotidiano. E’ necessario far percepire nettamente che la solidarietà – ben
lungi dall’essere risposta emotiva di un momento – certifica l’autenticità della fede
non meno che la qualità della vita. In questo processo si radica la ricerca della
verità che, secondo il cardinale, non conduce le culture nel deserto della tolleranza,
ma le sollecita ad un comune impegno di servizio dell’uomo nella verità. La formazione
del senso critico – che la sana lettura alimenta – è essenziale per l’adesione di
fede, l’esperienza di fede, la maturazione della fede. Il porporato ha quindi ricordato
che la verità cristiana è “sinfonica”. La visione cristiana – ha spiegato - “propone
un messaggio di chiara valenza culturale, aperto a tutti gli uomini di buona volontà.
Per questo è amica del libro”. Così – ha proseguito - “la fede cristiana illumina
il profilo sostantivo della democrazia, come concezione intellettuale e come compito
morale”. Citando le parole di Giovanni Paolo II, il presidente della Cei ha quindi
sottolineato l’urgenza di adoperarsi “perché il vero senso della democrazia, autentico
senso della cultura, sia pienamente salvaguardato”. Non è compito della Chiesa istituzionale
determinare modelli in sede economica e politica – ha spiegato – lo è certamente dei
cristiani laici, nella personale testimonianza di impegno sociale e nelle preziose
forme aggregative”. Il riferimento è alla questione educativa e alla mancata valorizzazione
delle eredità culturali. “Senza la tradizione – ha avvertito - il soggetto non trae
linfa dalle radici e dissecca”. “L’amnesia culturale ed esistenziale del nostro tempo
– ha rilevato – misconosce quelle radici cristiane che sono la principale sorgente
del pensiero occidentale”, e “il declino della modernità mortifica in tal modo la
passione educativa”. Mancano “valori comuni e condivisi”: piuttosto c’è “tolleranza”,
un “rispetto formale dei confini”, dove “la figura del maestro sfuma, il contesto
familiare si ritira dall’educativo e spesso si sfalda, la ragione appare ormai incapace
di fornire contenuti e valori universali, la scuola diventa contenitore”. Sottolineando
ancora che la fede cristiana “non discrimina aprioristicamente nessuna cultura”, il
porporato ha quindi rivolto il pensiero alle “istituzioni pedagogiche cattoliche”
per il loro “compito insostituibile”. Qui, infatti, “la relazione educativa è posta
a servizio della persona” e si alimenta “a un patrimonio di saperi che il volgere
delle generazioni ha distillato in sapienza di vita”. (E. B.)