Negoziati indiretti per il Medio Oriente. Padre Pizzaballa: manca la fiducia reciproca
Sono ripresi ufficialmente, domenica scorsa, i negoziati tra Palestina e Israele,
con la mediazione degli Stati Uniti. Leader israeliani e palestinesi hanno incontrato
in questi giorni il diplomatico statunitense George Mitchell, in quelli che sono stati
definiti ‘proximity talks’, cioè negoziati indiretti. Da parte sua, il primo ministro
israeliano Netanyahu ha affermato che "trattative dirette e incontri faccia a faccia
devono verificarsi presto perché non è possibile ottenere la pace a distanza, come
se si stesse utilizzando un telecomando." In ogni caso, è stato interrotto lo stallo
che durava ormai da 18 mesi. Fausta Speranza ne ha parlato con padre Pierbattista
Pizzaballa, Custode di Terra Santa:
R. – Di
dialogo, di incontri, di un clima più positivo ancora non si parla, ad essere sincero.
E’ ancora presto, perché veniamo da un periodo di assenza di negoziato totale ed anche
di grande sospetto, almeno a livello politico, che non si scioglie solo con i primi
annunci di incontri. Ci vorrà sicuramente ancora un po’ di tempo e bisognerà soprattutto
vedere se dopo questi primi incontri, questo ghiaccio che c’è tra le due parti si
scioglierà oppure se siamo ancora di fronte all’ennesima tattica, che però lascia
invariata la situazione. L’opinione pubblica è ancora piuttosto tiepida e così sono
anche i giornali e il sentire comune. D. – Si parla, non a
caso, di colloqui indiretti, perché al momento non è possibile far sedere le due parti
– israeliani e palestinesi – allo stesso tavolo. Nella realtà, padre Pizzaballa, questo
che cosa significa: una tensione davvero forte? R. – A livello
della vita di tutti i giorni questo non influisce forse molto, perché la situazione
rimane invariata da molto tempo. Questi colloqui indiretti indicano sospetto, una
mancanza di fiducia reciproca, che poi si ripercuote, passa anche attraverso l’opinione
pubblica e arriva al pensiero comune. Speriamo che dai colloqui indiretti con questi
mediatori si passi poi ad una fase più diretta, che possa influire di più. In questo
momento, però, siamo ancora in una fase prematura e si dovrà attendere. Speriamo che
si sciolga la situazione, che rimane però molto tesa e rigida. D.
– Padre Pizzaballa, qualunque segnale che vada nella direzione di un processo di pace
deve essere un motivo di speranza e ... non bisogna stancarsi di rinnovare la preghiera... R.
– Sì, bisogna sempre sperare, bisogna certamente lavorare a tutti i livelli, perché
questa situazione si sblocchi. Come credenti, innanzitutto la preghiera, e lavorare
perché la gente e un po’ tutti si convincano della necessità di andare avanti, andare
oltre, soprattutto non fermarsi alla situazione presente, ma avere il coraggio di
andare oltre. Siamo nella terra dei profeti, quindi dobbiamo vedere anche quello che
non c’è. E poi lavorare come Chiesa internazionale, perché la comunità internazionale
sia più presente e partecipe di questa situazione. D. – Padre
Pizzaballa, c’è una responsabilità mediatica? In questi giorni, questo processo di
pace, anche se a livello di colloqui indiretti, è ripreso ma nel silenzio generale
dei media. Non le sembra che forse invece bisognerebbe sostenere anche a livello mediatico
questo tentativo? R. – I media sicuramente hanno una grandissima
importanza, perché sono loro che creano l’opinione pubblica, sono loro che influiscono
in maniera determinante. La pace non la fanno soltanto i due leader che hanno contratto
un accordo: la pace è una mentalità, un modo di pensare, un fiume, un’onda che deve
coinvolgere un po’ tutte le parti della società e, in questo senso, i media hanno
una responsabilità che è determinante, se non quasi totale. Anche i media, però, molto
spesso hanno delle logiche, delle dinamiche, che non sono quelle di creare la pace,
ma di inseguire le notizie sensazionali, ahimè.