La Messa sulla spianata del Santuario. Il Papa: la missione profetica di Fatima non
è conclusa. Dio ha il potere d'infiammare i cuori più freddi e tristi
“Sono venuto a Fatima per gioire della presenza di Maria e della sua materna protezione.
Sono venuto a Fatima, perché verso questo luogo converge oggi la Chiesa pellegrinante,
voluta dal Figlio suo quale strumento di evangelizzazione e sacramento di salvezza.
Sono venuto a Fatima per pregare, con Maria e con tanti pellegrini, per la nostra
umanità afflitta da miserie e sofferenze”: così il Papa all’inizio della sua omelia
per la Santa Messa sulla Spianata del Santuario di Fatima. “Sono venuto a Fatima –
ha proseguito Benedetto XVI - con gli stessi sentimenti dei Beati Francesco e Giacinta
e della Serva di Dio Lucia, per affidare alla Madonna l’intima confessione che «amo»,
che la Chiesa, che i sacerdoti «amano» Gesù e desiderano tenere fissi gli occhi in
Lui … nostra grande speranza”. Il Papa ricorda le parole di Giacinta quando esclamava:
«Mi piace tanto dire a Gesù che Lo amo! Quando Glielo dico molte volte, mi sembra
di avere un fuoco nel petto, ma non mi brucio». E Francesco diceva: «Quel che m’è
piaciuto più di tutto, fu di vedere Nostro Signore in quella luce che la Nostra Madre
ci mise nel petto. Voglio tanto bene a Dio!» (Memorie di Suor Lucia, I, 42 e 126).
E ha commentato: “nell’udire queste innocenti e profonde confidenze mistiche dei Pastorelli,
qualcuno potrebbe guardarli con un po’ d’invidia perché essi hanno visto, oppure con
la delusa rassegnazione di chi non ha avuto la stessa fortuna, ma insiste nel voler
vedere”. Ma queste persone – sottolinea – sono in errore. Lo dice come Gesù: «Beati
quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20, 29): Dio, infatti, “ha il potere
di arrivare fino a noi, in particolare mediante i sensi interiori, così che l’anima
riceve il tocco soave di una realtà che si trova oltre il sensibile e che la rende
capace di raggiungere il non sensibile, il non visibile ai sensi. A tale scopo si
richiede una vigilanza interiore del cuore che, per la maggior parte del tempo, non
abbiamo a causa della forte pressione delle realtà esterne e delle immagini e preoccupazioni
che riempiono l’anima (cfr Commento teologico del Messaggio di Fatima, anno 2000).
Sì! Dio può raggiungerci, offrendosi alla nostra visione interiore”. Dio – ha aggiunto
– ha “il potere di infiammare i cuori più freddi e tristi”. Ma occorre ascoltare la
sua parola. “Ma chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi affascinare
dal suo amore? Chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore
desto in preghiera? Chi aspetta l’alba del nuovo giorno, tenendo accesa la fiamma
della fede? La fede in Dio apre all’uomo l’orizzonte di una speranza certa che non
delude; indica un solido fondamento sul quale poggiare, senza paura, la propria vita;
richiede l’abbandono, pieno di fiducia, nelle mani dell’Amore che sostiene il mondo”.
Poi il Papa ricorda che “si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di
Fatima sia conclusa”. Qui la Madonna continua a domandarci: «Volete offrirvi a Dio
per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione
per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?»
(Memorie di Suor Lucia, I, 162). E conclude: “Con la famiglia umana pronta a sacrificare
i suoi legami più santi sull’altare di gretti egoismi di nazione, razza, ideologia,
gruppo, individuo, è venuta dal Cielo la nostra Madre benedetta offrendosi per trapiantare
nel cuore di quanti le si affidano l’Amore di Dio che arde nel suo”. Ecco il testo
dell’omelia del Papa: Cari pellegrini, «Sarà
famosa tra le genti la loro stirpe, […] essi sono la stirpe benedetta dal Signore
» (Is 61, 9). Così iniziava la prima lettura di questa Eucaristia, le cui parole trovano
mirabile compimento in questa assemblea devotamente raccolta ai piedi della Madonna
di Fatima. Sorelle e fratelli tanto amati, anch’io sono venuto come pellegrino a Fatima,
a questa «casa» che Maria ha scelto per parlare a noi nei tempi moderni. Sono venuto
a Fatima per gioire della presenza di Maria e della sua materna protezione. Sono venuto
a Fatima, perché verso questo luogo converge oggi la Chiesa pellegrinante, voluta
dal Figlio suo quale strumento di evangelizzazione e sacramento di salvezza. Sono
venuto a Fatima per pregare, con Maria e con tanti pellegrini, per la nostra umanità
afflitta da miserie e sofferenze. Infine, sono venuto a Fatima, con gli stessi sentimenti
dei Beati Francesco e Giacinta e della Serva di Dio Lucia, per affidare alla Madonna
l’intima confessione che «amo», che la Chiesa, che i sacerdoti «amano» Gesù e desiderano
tenere fissi gli occhi in Lui, mentre si conclude quest’Anno Sacerdotale, e per affidare
alla materna protezione di Maria i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, i missionari
e tutti gli operatori di bene che rendono accogliente e benefica la Casa di Dio. Essi
sono la stirpe che il Signore ha benedetto… Stirpe che il Signore ha benedetto sei
tu, amata diocesi di Leiria-Fatima, con il tuo Pastore Mons. Antonio Marto, che ringrazio
per il saluto rivoltomi all’inizio e per ogni premura di cui mi ha colmato, anche
mediante i suoi collaboratori, in questo santuario. Saluto il Signor Presidente della
Repubblica e le altre autorità al servizio di questa gloriosa Nazione. Idealmente
abbraccio tutte le diocesi del Portogallo, qui rappresentate dai loro Vescovi, e affido
al Cielo tutti i popoli e le nazioni della terra. In Dio, stringo al cuore tutti i
loro figli e figlie, in particolare quanti di loro vivono nella tribolazione o abbandonati,
nel desiderio di trasmettere loro quella speranza grande che arde nel mio cuore e
che qui, a Fatima, si fa trovare in maniera più palpabile. La nostra grande speranza
getti radici nella vita di ognuno di voi, cari pellegrini qui presenti, e di quanti
sono uniti con noi attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Sì!
Il Signore, la nostra grande speranza, è con noi; nel suo amore misericordioso, offre
un futuro al suo popolo: un futuro di comunione con sé. Avendo sperimentato la misericordia
e la consolazione di Dio che non lo aveva abbandonato lungo il faticoso cammino di
ritorno dall’esilio di Babilonia, il popolo di Dio esclama: «Io gioisco pienamente
nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio» (Is 61,10). Figlia eccelsa di questo
popolo è la Vergine Madre di Nazaret, la quale, rivestita di grazia e dolcemente sorpresa
per la gestazione di Dio che si veniva compiendo nel suo grembo, fa ugualmente propria
questa gioia e questa speranza nel cantico del Magnificat: «Il mio spirito esulta
in Dio, mio Salvatore». Nel frattempo Ella non si vede come una privilegiata in mezzo
a un popolo sterile, anzi profetizza per loro le dolci gioie di una prodigiosa maternità
di Dio, perché «di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo
temono» (Lc 1, 47.50). Ne è prova questo luogo
benedetto. Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima
visita fatta dalla Signora «venuta dal Cielo», come Maestra che introduce i piccoli
veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio
stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana. Un’esperienza di grazia che li
ha fatti diventare innamorati di Dio in Gesù, al punto che Giacinta esclamava: «Mi
piace tanto dire a Gesù che Lo amo! Quando Glielo dico molte volte, mi sembra di avere
un fuoco nel petto, ma non mi brucio». E Francesco diceva: «Quel che m’è piaciuto
più di tutto, fu di vedere Nostro Signore in quella luce che la Nostra Madre ci mise
nel petto. Voglio tanto bene a Dio!» (Memorie di Suor Lucia, I, 42 e 126). Fratelli,
nell’udire queste innocenti e profonde confidenze mistiche dei Pastorelli, qualcuno
potrebbe guardarli con un po’ d’invidia perché essi hanno visto, oppure con la delusa
rassegnazione di chi non ha avuto la stessa fortuna, ma insiste nel voler vedere.
A tali persone, il Papa dice come Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore,
perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?» (Mc 12,24). Le Scritture
ci invitano a credere: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,
29), ma Dio – più intimo a me di quanto lo sia io stesso (cfr S. Agostino, Confessioni,
III, 6, 11) – ha il potere di arrivare fino a noi, in particolare mediante i sensi
interiori, così che l’anima riceve il tocco soave di una realtà che si trova oltre
il sensibile e che la rende capace di raggiungere il non sensibile, il non visibile
ai sensi. A tale scopo si richiede una vigilanza interiore del cuore che, per la maggior
parte del tempo, non abbiamo a causa della forte pressione delle realtà esterne e
delle immagini e preoccupazioni che riempiono l’anima (cfr Commento teologico del
Messaggio di Fatima, anno 2000). Sì! Dio può raggiungerci, offrendosi alla nostra
visione interiore. Di più, quella Luce nell’intimo
dei Pastorelli, che proviene dal futuro di Dio, è la stessa che si è manifestata nella
pienezza dei tempi ed è venuta per tutti: il Figlio di Dio fatto uomo. Che Egli abbia
il potere di infiammare i cuori più freddi e tristi, lo vediamo nei discepoli di Emmaus
(cfr Lc 24,32). Perciò la nostra speranza ha fondamento reale, poggia su un evento
che si colloca nella storia e al tempo stesso la supera: è Gesù di Nazaret. E l’entusiasmo
suscitato dalla sua saggezza e dalla sua potenza salvifica nella gente di allora era
tale che una donna in mezzo alla moltitudine – come abbiamo ascoltato nel Vangelo
– esclama: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato». Tuttavia
Gesù rispose: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!»
(Lc 11, 27.28). Ma chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi affascinare
dal suo amore? Chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore
desto in preghiera? Chi aspetta l’alba del nuovo giorno, tenendo accesa la fiamma
della fede? La fede in Dio apre all’uomo l’orizzonte di una speranza certa che non
delude; indica un solido fondamento sul quale poggiare, senza paura, la propria vita;
richiede l’abbandono, pieno di fiducia, nelle mani dell’Amore che sostiene il mondo.
«Sarà famosa tra le genti la loro stirpe, […]
essi sono la stirpe benedetta dal Signore» (Is 61,9) con una speranza incrollabile
e che fruttifica in un amore che si sacrifica per gli altri ma non sacrifica gli altri;
anzi – come abbiamo ascoltato nella seconda lettura – «tutto scusa, tutto crede, tutto
spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7). Di ciò sono esempio e stimolo i Pastorelli, che
hanno fatto della loro vita un’offerta a Dio e una condivisione con gli altri per
amore di Dio. La Madonna li ha aiutati ad aprire il cuore all’universalità dell’amore.
In particolare, la beata Giacinta si mostrava instancabile nella condivisione con
i poveri e nel sacrificio per la conversione dei peccatori. Soltanto con questo amore
di fraternità e di condivisione riusciremo ad edificare la civiltà dell’Amore e della
Pace. Si illuderebbe chi pensasse che la missione
profetica di Fatima sia conclusa. Qui rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità
sin dai suoi primordi: «Dov’è Abele, tuo fratello? […] La voce del sangue di tuo fratello
grida a me dal suolo!» (Gen 4, 9). L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e
di terrore, ma non riesce ad interromperlo… Nella Sacra Scrittura appare frequentemente
che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa
qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: «Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte
le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui
Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?» (Memorie di Suor Lucia,
I, 162). Con la famiglia umana pronta a sacrificare
i suoi legami più santi sull’altare di gretti egoismi di nazione, razza, ideologia,
gruppo, individuo, è venuta dal Cielo la nostra Madre benedetta offrendosi per trapiantare
nel cuore di quanti le si affidano l’Amore di Dio che arde nel suo. In quel tempo
erano soltanto tre, il cui esempio di vita si è diffuso e moltiplicato in gruppi innumerevoli
per l’intera superficie della terra, in particolare al passaggio della Vergine Pellegrina,
i quali si sono dedicati alla causa della solidarietà fraterna. Possano questi sette
anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato
trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità.