Benedetto XVI ai vescovi portoghesi: ho bisogno di abbracciare sempre di più la Croce
per radunare i miei fratelli e sorelle in umanità
"Il Papa ha bisogno di aprirsi sempre di più al mistero della Croce, abbracciandola
quale unica speranza e ultima via per guadagnare e radunare nel Crocifisso tutti i
suoi fratelli e sorelle in umnaità. Obbedendo alla Parola di Dio, egli è chiamato
a vivere non per sé stsesso ma per la presenza di Dio nel mondo". E' quanto ha detto
il Papa ai Vescovi del Portogallo incontrati nella Casa Nossa Senhora do Carmo a Fátima.
Benedetto XVI ha ringraziando i presuli della loro fedeltà incondizionata al Successore
di Pietro. Nel suo discorso il Pontefice ha parlato della necessità di una forte testimonianza
cristiana nella società, di laici maturi che non si vergognino di annunciare il Vangelo
negli ambienti in cui vivono, di una Chiesa che mantiene viva la sua dimensione profetica,
senza bavagli, e che non tema di alzare la voce in favore degli oppressi e degli umiliati.
Benedetto XVI, ringraziando i presuli della loro fedeltà incondizionata al Successore
di Pietro, ha manifestato che "il Papa ha bisogno di aprirsi sempre di più al mistero
della Croce, abbracciandola quale unica speranza e ultima via per guadagnare e radunare
nel Crocifisso tutti i suoi fratelli e sorelle in umnaità. obbedendo alla Parola di
Dio, egli è chiamato a vivere non per se stsesso ma per la presenza di Dio nel mondo".
“Il richiamo coraggioso e integrale ai principi – ha aggiunto - è essenziale e indispensabile;
tuttavia il semplice enunciato del messaggio non arriva fino in fondo al cuore della
persona, non tocca la sua libertà, non cambia la vita. Ciò che affascina è soprattutto
l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia
di Cristo, rendendo testimonianza di Lui”. Il Papa ha espresso il suo grande apprezzamento
per il fervore spirituale promosso da movimenti e comunità ecclesiali. “Condizione
necessaria, naturalmente – ha precisato - è che queste nuove realtà vogliano vivere
nella Chiesa comune, pur con spazi in qualche modo riservati per la loro vita, così
che questa diventi poi feconda per tutti gli altri. I portatori di un carisma particolare
devono sentirsi fondamentalmente responsabili della comunione, della fede comune della
Chiesa e devono sottomettersi alla guida dei Pastori. Sono questi che devono garantire
l’ecclesialità dei movimenti”. I pastori – ha proseguito – devono “aiutare i movimenti
a trovare la strada giusta, facendo delle correzioni con comprensione – quella comprensione
spirituale e umana che sa unire guida, riconoscenza e una certa apertura e disponibilità
ad accettare di imparare”. Il Papa ha invitato i vescovi a riscoprire la paternità
episcopale verso i sacerdoti: “Per troppo tempo si è relegata in secondo piano la
responsabilità dell’autorità come servizio alla crescita degli altri, e, prima di
tutti, dei sacerdoti. Questi sono chiamati a servire, nel loro ministero pastorale,
integrati in un’azione pastorale di comunione o di insieme, come ci ricorda il Decreto
conciliare Presbyterorum ordinis: «Nessun presbitero è quindi in condizione di realizzare
a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le
proprie forze a quelle degli altri presbiteri, sotto la guida di coloro che governano
la Chiesa» (n. 7). Non si tratta di ritornare al passato, né di un semplice ritorno
alle origini, ma di un ricupero del fervore delle origini, della gioia dell’inizio
dell’esperienza cristiana”. Quindi esorta i vescovi portoghesi a rispondere con forza
alle povertà nel Paese come profeti della giustizia e della pace. Ecco il testo
del discorso del Papa:
Venerati e cari Fratelli
nell’Episcopato,
Rendo grazie a Dio per
l’occasione che mi offre di incontrarvi tutti qui nel cuore spirituale del Portogallo,
che è il Santuario di Fatima, dove moltitudini di pellegrini provenienti dai luoghi
più vari della terra, cercano di ritrovare o di rafforzare in sé stessi le certezze
del Cielo. Tra loro è venuto da Roma il Successore di Pietro, accogliendo i ripetuti
inviti ricevuti e mosso da un debito di riconoscenza verso la Vergine Maria, la quale
proprio qui ha trasmesso ai suoi veggenti e pellegrini un intenso amore per il Santo
Padre che fruttifica in una vigorosa schiera orante con Gesù alla guida: Pietro, «io
ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito,
conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 32).
Come
vedete, il Papa ha bisogno di aprirsi sempre di più al mistero della Croce, abbracciandola
quale unica speranza e ultima via per guadagnare e radunare nel Crocifisso tutti i
suoi fratelli e sorelle in umanità. Obbedendo alla Parola di Dio, egli è chiamato
a vivere non per sé stesso ma per la presenza di Dio nel mondo. Mi è di conforto la
determinazione con cui anche voi mi seguite da vicino senza temere null’altro che
la perdita della salvezza eterna del vostro popolo, come bene dimostrano le parole
con cui Mons. Jorge Ortiga ha voluto salutare il mio arrivo in mezzo a voi e testimoniare
l’incondizionata fedeltà dei Vescovi del Portogallo al Successore di Pietro. Di cuore
vi ringrazio. Grazie inoltre per tutta la premura che avete avuto nell’organizzazione
di questa mia Visita. Dio vi ricompensi, riversando in abbondanza su di voi e sulle
vostre diocesi lo Spirito Santo, affinché possiate, in un cuor solo e un’anima sola,
portare a termine l’impegno pastorale che vi siete proposti, quello, cioè, di offrire
ad ogni fedele un’iniziazione cristiana esigente e affascinante, che comunichi l’integrità
della fede e della spiritualità, radicata nel Vangelo e formatrice di operatori liberi
in mezzo alla vita pubblica.
In verità,
i tempi nei quali viviamo esigono un nuovo vigore missionario dei cristiani, chiamati
a formare un laicato maturo, identificato con la Chiesa, solidale con la complessa
trasformazione del mondo. C’è bisogno di autentici testimoni di Gesù Cristo, soprattutto
in quegli ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici,
gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono
una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa
della vita. In tali ambiti non mancano credenti che si vergognano e che danno una
mano al secolarismo, costruttore di barriere all’ispirazione cristiana. Nel frattempo,
amati Fratelli, quanti difendono in tali ambienti, con coraggio, un vigoroso pensiero
cattolico, fedele al Magistero, continuino a ricevere il vostro stimolo e la vostra
parola illuminante, per vivere, da fedeli laici, la libertà cristiana.
Mantenete
viva la dimensione profetica, senza bavagli, nello scenario del mondo attuale, perché
«la parola di Dio non è incatenata!» (2Tm 2,9). Le persone invocano la Buona Novella
di Gesù Cristo, che dona senso alle loro vite e salvaguarda la loro dignità. In qualità
di primi evangelizzatori, vi sarà utile conoscere e comprendere i diversi fattori
sociali e culturali, valutare le carenze spirituali e programmare efficacemente le
risorse pastorali; decisivo, però, è riuscire ad inculcare in ogni agente evangelizzatore
un vero ardore di santità, consapevoli che il risultato deriva soprattutto dall’unione
con Cristo e dall’azione del suo Spirito.
Infatti,
quando, nel sentire di molti, la fede cattolica non è più patrimonio comune della
società e, spesso, si vede come un seme insidiato e offuscato da «divinità» e signori
di questo mondo, molto difficilmente essa potrà toccare i cuori mediante semplici
discorsi o richiami morali e meno ancora attraverso generici richiami ai valori cristiani.
Il richiamo coraggioso e integrale ai principi è essenziale e indispensabile; tuttavia
il semplice enunciato del messaggio non arriva fino in fondo al cuore della persona,
non tocca la sua libertà, non cambia la vita. Ciò che affascina è soprattutto l’incontro
con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo,
rendendo testimonianza di Lui. Mi vengono in mente queste parole del Papa Giovanni
Paolo II: «La Chiesa ha bisogno soprattutto di grandi correnti, movimenti e testimonianze
di santità fra i “christifideles” perché è dalla santità che nasce ogni autentico
rinnovamento della Chiesa, ogni arricchimento dell’intelligenza della fede e della
sequela cristiana, una ri-attualizzazione vitale e feconda del cristianesimo nell’incontro
con i bisogni degli uomini, una rinnovata forma di presenza nel cuore dell’esistenza
umana e della cultura delle nazioni» (Discorso per il XX della promulgazione del Decreto
conciliare «Apostolicam actuositatem», 18 novembre 1985). Qualcuno potrebbe dire:
«la Chiesa ha bisogno di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità…»,
ma non ci sono!
A questo proposito, vi
confesso la piacevole sorpresa che ho avuto nel prendere contatto con i movimenti
e le nuove comunità ecclesiali. Osservandoli, ho avuto la gioia e la grazia di vedere
come, in un momento di fatica della Chiesa, in un momento in cui si parlava di «inverno
della Chiesa», lo Spirito Santo creava una nuova primavera, facendo svegliare nei
giovani e negli adulti la gioia di essere cristiani, di vivere nella Chiesa, che è
il Corpo vivo di Cristo. Grazie ai carismi, la radicalità del Vangelo, il contenuto
oggettivo della fede, il flusso vivo della sua tradizione vengono comunicati in modo
persuasivo e sono accolti come esperienza personale, come adesione della libertà all’evento
presente di Cristo.
Condizione necessaria,
naturalmente, è che queste nuove realtà vogliano vivere nella Chiesa comune, pur con
spazi in qualche modo riservati per la loro vita, così che questa diventi poi feconda
per tutti gli altri. I portatori di un carisma particolare devono sentirsi fondamentalmente
responsabili della comunione, della fede comune della Chiesa e devono sottomettersi
alla guida dei Pastori. Sono questi che devono garantire l’ecclesialità dei movimenti.
I Pastori non sono soltanto persone che occupano una carica, ma essi stessi sono portatori
di carismi, sono responsabili per l’apertura della Chiesa all’azione dello Spirito
Santo. Noi, Vescovi, nel sacramento, siamo unti dallo Spirito Santo e quindi il sacramento
ci garantisce anche l’apertura ai suoi doni. Così, da una parte, dobbiamo sentire
la responsabilità di accogliere questi impulsi che sono doni per la Chiesa e le conferiscono
nuova vitalità, ma, dall’altra, dobbiamo anche aiutare i movimenti a trovare la strada
giusta, facendo delle correzioni con comprensione – quella comprensione spirituale
e umana che sa unire guida, riconoscenza e una certa apertura e disponibilità ad accettare
di imparare.
Iniziate o confermate proprio
in questo i presbiteri. Nell’Anno sacerdotale che volge al termine, riscoprite, amati
Fratelli, la paternità episcopale soprattutto verso il vostro clero. Per troppo tempo
si è relegata in secondo piano la responsabilità dell’autorità come servizio alla
crescita degli altri, e, prima di tutti, dei sacerdoti. Questi sono chiamati a servire,
nel loro ministero pastorale, integrati in un’azione pastorale di comunione o di insieme,
come ci ricorda il Decreto conciliare Presbyterorum ordinis: «Nessun presbitero è
quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e
per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri presbiteri, sotto
la guida di coloro che governano la Chiesa» (n. 7). Non si tratta di ritornare al
passato, né di un semplice ritorno alle origini, ma di un ricupero del fervore delle
origini, della gioia dell’inizio dell’esperienza cristiana, facendosi accompagnare
da Cristo come i discepoli di Emmaus nel giorno di Pasqua, lasciando che la sua parola
ci riscaldi il cuore, che il «pane spezzato» apra i nostri occhi alla contemplazione
del suo volto. Soltanto così il fuoco della carità sarà ardente abbastanza da spingere
ogni fedele cristiano a diventare dispensatore di luce e di vita nella Chiesa e tra
gli uomini.
Prima di concludere, vorrei
chiedervi, nella vostra qualità di presidenti e ministri della carità nella Chiesa,
di rinvigorire in voi stessi e intorno a voi i sentimenti di misericordia e di compassione
per essere in grado di rispondere alle situazioni di gravi carenze sociali. Si costituiscano
organizzazioni e si perfezionino quelle già esistenti, perché siano in grado di rispondere
con creatività ad ogni povertà, includendo quelle della mancanza di senso della vita
e dell’assenza di speranza. È molto lodevole lo sforzo che fate per aiutare le diocesi
più bisognose, soprattutto dei Paesi lusofoni. Le difficoltà, che adesso si fanno
sentire di più, non vi facciano indebolire nella logica del dono. Continui ben viva,
nel Paese, la vostra testimonianza di profeti della giustizia e della pace, difensori
dei diritti inalienabili della persona, unendo la vostra voce a quella dei più deboli,
che avete saggiamente motivato a possedere voce propria, senza temere mai di alzare
la voce in favore degli oppressi, degli umiliati e dei maltrattati.
Mentre
vi affido alla Madonna di Fatima, chiedendole di sostenervi maternamente nelle sfide
in cui siete impegnati, perché siate promotori di una cultura e di una spiritualità
di carità e di pace, di speranza e di giustizia, di fede e di servizio, di cuore vi
imparto la mia Benedizione Apostolica, estendendola ai vostri familiari e alle comunità
diocesane.