2010-05-13 15:27:05

Bce: la crisi frena la crescita. Zapatero in difficoltà


“La crisi finanziaria potrebbe frenare la crescita”. È quanto afferma la Banca centrale europea (Bce) nel bollettino mensile di maggio, spiegando che sulla ripresa di Eurolandia, tuttora in corso sia pure ad un ritmo “moderato”, peseranno “il processo di risanamento dei bilanci” in vari settori, la bassa utilizzazione della capacità produttiva e il mercato del lavoro debole. Riguardo il settore del lavoro, la Bce avverte della possibilità di un aumento di disoccupazione nei prossimi mesi ed esorta pure i governi europei a “intraprendere un'azione incisiva per conseguire il risanamento durevole e credibile delle finanze pubbliche”. La crescita delle sedici economie dell'euro sarà dell'1,1% nel 2010, un decimale in meno rispetto all'1,2% previsto nel primo trimestre di quest'anno. La Bce prevede un ritorno della crescita all'1,8% - ancora al di sotto dei livelli di crescita potenziale - soltanto oltre il 2012. Intanto, in Italia, il governo chiede di aumentare le tasse alle regioni che hanno un forte deficit nel settore della sanità. Alessandro Guarasci RealAudioMP3


In Spagna, il primo ministro José Luís Rodríguez Zapatero, ha annunciato ieri al parlamento di Madrid un piano di austerità senza precedenti, che servirà a ridurre di 15 miliardi di euro il deficit pubblico. Colpiti soprattutto gli stipendi dei dipendenti pubblici, che saranno tagliati – già dal prossimo mese – del 5%, per poi essere congelati per tutto il 2011. Tagli sono previsti anche per le pensioni, per gli aiuti allo sviluppo e per gli investimenti pubblici, ridotti di più di 6 miliardi nel 2010 e 2011. Dura la reazione dei sindacati, che hanno annunciato scioperi e manifestazioni. Salvatore Sabatino ha intervistato Josto Maffeo, corrispondente da Madrid per il quotidiano “Il Messaggero”:RealAudioMP3

R. – Ieri è stato il giorno della solitudine di Zapatero. È rimasto solo: sinistre, centro e destra l’hanno lasciato solo. E questo perché Zapatero negli ultimi due anni è stato accusato prima di aver negato la crisi, e poi di aver avallato una raffica di misure dispendiose che sono servite a ben poco o a nulla. Zapatero è stato accusato di aver perso tempo e, in secondo luogo, di essere stato un improvvisatore. Adesso – dietro le pressioni prima di Angela Merkel e dell’Unione Europea e poi dopo una telefonata di Barack Obama alla vigilia di questa sessione del parlamento – è stato costretto dall’esterno a intervenire sullo stato sociale, rispetto al quale aveva giurato fino a poche ore prima che non sarebbe stato toccato, perché era il “fiore all’occhiello” della sua legislatura.
 
D. – E in molti credono che questi tagli, alla fine, non bastino nemmeno a risanare i conti pubblici…

R. – Non solo non bastano, ma addirittura c’è anche un problema tecnico-giuridico molto complesso. Bisogna vedere se le leggi consentono di operare tutti questi tagli, perché una cosa è annunciare la riduzione degli stipendi della pubblica amministrazione centrale – non quella delle autonomie, dei 17 governi e parlamenti che ha la Spagna – e altra cosa è vedere come si possa varare una cosa del genere ad esempio nelle aziende a partecipazione statale, dove ci sono impiegati parastatali. Bisogna poi anche vedere con quale strumento ad un certo punto si possa far fare marcia indietro agli stipendi. È inedito nella storia spagnola,
 
D. – A far salire ulteriormente la tensione, c'è anche il bollettino mensile emesso dalla Banca centrale europea che prevede un ulteriore aumento della disoccupazione nell’area euro. Cosa vuol dire questo per un Paese che ha superato la soglia del 20 per cento della disoccupazione?

R. – Il 20 per cento che vuol dire quattro milioni e 600 mila persone: dietro ci sono le famiglie. Un milione e mezzo di famiglie dove non c’è nessuno che abbia lavoro. Bisogna poi anche andare a verificare qual è la situazione sociale. È chiaro che qui è accaduta una cosa: la Spagna ha vissuto per troppi anni di rendita, ha vissuto di sole, spiaggia e mattone. Il mattone si è gonfiato a tal punto che la bolla è esplosa e poi ad un certo punto anche la crisi internazionale ha fatto retrocedere quello che era il secondo Paese recettore di turismo nel mondo dopo la Francia, e gli ha fatto perdere colpi. È un Paese di servizi che in questo momento non riceve il denaro che riceveva prima e che si è soprattutto indebitato fino al collo.

In Portogallo, il premier socialista Josè Socrates, e il leader dell'opposizione di centrodestra, Pedro Passos Coelho, hanno raggiunto un accordo la notte scorsa su un piano di misure di austerità aggiuntive che prevede fra l'altro l'aumento dell'Irpef e dell'Iva nel 2010 e un’imposta del 2,5% sui benefici delle imprese, riferisce il quotidiano Publico. Il nuovo giro di vite punta ad accelerare la riduzione del deficit pubblico, dal 9,4% del 2009 al 7% per la fine di quest'anno, e al 2,8% nel 2013. Il Psd di Passos Coelho, il principale partito di opposizione, ha garantito il suo appoggio al governo minoritario monocolore socialista di Socrates nell'adozione di misure di risanamento delle finanze del Paese. Sarà introdotto inoltre un taglio del 5% agli stipendi di politici e di dirigenti delle aziende pubbliche. Nell'insieme le misure concordate da Socrates e dal leader del Psd dovrebbero produrre secondo Publico 2,1 miliardi di euro.







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