2010-05-11 15:59:15

400 anni fa la morte di padre Matteo Ricci, maestro del dialogo tra Occidente ed Oriente


Uomo di fede e di scienza, colto e carismatico, giovane gesuita missionario in Cina sotto le dinastie Ming e Qing, uomo del dialogo tra culture e religioni, seppe gettare un solido ponte tra Oriente ed Occidente. Parliamo di padre Matteo Ricci, di cui ricorrono oggi i 400 anni dalla morte, l’11 maggio del 1610. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Filippo Mignini, direttore dell’“Istituto Matteo Ricci per le relazioni con l’Oriente” di Macerata, città nativa del gesuita, dove quest’anno si svolgono diverse iniziative volte a valorizzare l’opera di questo sapiente e moderno sacerdote del passato:RealAudioMP3

D. - Prof. Mignini, questo anniversario cade in un momento storico particolare di apertura politica ed economica e rinnovate relazioni culturali con l’Oriente, in particolare proprio con la Cina. Quali suggestioni per il presente ci arrivano dalla vita di padre Matteo Ricci?

R. – Anzitutto comprendere che la riuscita della missione cinese di Ricci e dei suoi compagni – quattro secoli fa – fu resa possibile dall’incontro straordinario della loro cultura cristiana e gesuitica che poneva la carità – intesa come responsabilità nei confronti di se stessi e del prossimo e direi anche del mondo nel quale si vive – in ordine ad un principio universale, con la medesima idea che nutrivano gli interlocutori confuciani di Matteo Ricci: ossia che l’uomo perfetto è colui che agisce obbedendo al cielo e seguendo le leggi della natura. Su questo punto si incontrarono intellettuali occidentali e cinesi e poterono realizzare quell’avvenimento straordinario e praticamente unico nella storia del mondo, che consiste nell’incontro di due civiltà, che non si conoscevano fino a quel momento e che si riconoscevano come parti di un intero, laddove per intero si intende la stessa umanità. Questo mi pare che sia il primo insegnamento al quale dovremmo guardare con attenzione e ritornare.

D. - Padre Matteo Ricci, pioniere della cristianità in Cina, seppe esprimere il Vangelo nei termini e nelle categorie della cultura cinese: di certo non avrebbe accettato di parlare oggi di scontro di civiltà, ma piuttosto di dialogo rispettoso…

R. – Sì, il secondo insegnamento è che l’esperienza di Ricci in Cina si può probabilmente connotare con l’idea del confronto sincero e leale, ma un confronto sulle eccellenze delle due civiltà. A me pare che oggi il rapporto con la Cina non sia sostanzialmente cambiato. Se noi vogliamo essere interlocutori all’altezza della sfida, dobbiamo attrezzarci in modo tale da poter competere, nel senso proprio del confronto dell’eccellenza e cioè del dare all’altro quello che si ha in più per riattivare, in un momento storico nuovo, una speranza nuova per il futuro.

D. – Possiamo dire che Matteo Ricci sia stato un sapiente del passato di grande modernità, di grande attualità?

R. – Credo che si possa dire senz’altro questo. Del resto Giovanni Paolo II nel suo discorso lo additò come “modello di evangelizzazione per il Terzo Millennio”. La modernità consiste principalmente nel fatto che, formatosi alla scuola di Ignazio e cioè a quella rigorosa concezione della carità come atteggiamento universale verso tutte le nazioni, senza alcuna discriminazione, questo lo portava a considerare tutti gli uomini, in quanto umani, uguali tra loro e degni di essere fratelli. C’è una bellissima frase, a conclusione della prefazione di Ricci al “Mappamondo” del 1602 elaborato a Pechino, nella quale dice: “Io Matteo, così poco intelligente, dedico questa mappa a tutti quelli che, insieme con me, posano i piedi sulla stessa terra e respirano sotto lo stesso cielo". La mappa era scritta in cinese, ma dedicata a tutti gli uomini, a cominciare dai cinesi. Questa apertura lo ha reso moderno rispetto ai pregiudizi dai quali gli uomini non solo nel passato, ma anche oggi, sono molto spesso vinti.







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