Sessant'anni fa la Dichiarazione di Robert Schuman che avviava l’integrazione europea
Il 9 maggio si festeggia la nascita dell'Europa comunitaria, perché in quella stessa
data, nel 1950, Robert Schuman, uno dei padri fondatori, pronunciò il celebre discorso
che pose le basi per la nuova integrazione degli Stati europei, fondata sull'impegno
del mantenimento di relazioni pacifiche. Il 2010 ricorda dunque i 60 anni dell’avvio
dell'istituzione sovranazionale incaricata della gestione in Europa dell'industria
del carbone e dell'acciaio, materie prime indispensabili per qualsiasi potenza militare.
L'obiettivo, infatti, era prevenire altri conflitti dopo il disastroso Secondo conflitto
mondiale. Oggi, l’Unione Europea è un’istituzione economica e politica, per certi
aspetti ancora in costruzione. E sta attraversando la difficile crisi economica che
dalla Grecia scuote tutti gli Stati membri. Delle difficoltà e delle prospettive,
Fausta Speranza ha parlato con mons. Aldo Giordano, osservatore permanente
della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa:
R. – Il
10 maggio del ’50, Schuman aveva già visto la possibilità di un processo di unificazione
del nostro continente, con la coscienza che l’Europa non si sarebbe fatta con un colpo
improvviso, ma attraverso un processo. Lui intravedeva la possibilità di una “federazione
europea”. Poi, sono venute le tappe concrete che noi possiamo a vedere. Schumann ne
vedeva l'avvio partendo dalla Francia e dalla Germania, le due nazioni che erano state
maggiormente implicate nei terribili conflitti precedenti. In questo senso, si comprende
anche il ruolo di Strasburgo e delle istituzioni con sede a Strasburgo, nella regione
di frontiera dell’Alsazia tra Francia e Germania. In seguito, abbiamo visto che la
questione dell’unificazione sarebbe stata la questione est-ovest, per l’esistenza
del Muro, e dopo la sua caduta, il cammino di un’Europa a due polmoni. Attualmente,
io direi che la questione è l’Europa e il mondo. Noi, oggi, probabilmente dovremmo
fare una dichiarazione di unità del mondo più che una dichiarazione di unità soltanto
dell’Europa. Ed è interessante che nella sua Dichiarazione Schuman dicesse già allora,
nel 1950: se l'Europa comincia un processo di unificazione, avrà maggiori mezzi per
contribuire ad un suo compito essenziale, che è quello dello sviluppo del continente
africano. Ho trovato molto interessante questo: lui vedeva l’Europa, ma vedeva già
il compito dell’Europa verso gli altri continenti, in particolare l’Africa. La sua
prima intuizione, quindi, è che i problemi vanno oggi affrontati in un approccio europeo
e noi potremmo dire, adesso più chiaramente ancora, con un approccio mondiale. D.
– Perché l’Europa abbia un ruolo davvero a livello mondiale, che cosa raccomanda la
Chiesa d’Europa ai politici e ai cittadini? R. – Per avere un
ruolo concreto, forse la prima cosa che la Chiesa raccomanda è di avere una "visione":
sembra astratto, ma si tratta di avere una visione, di avere un’idea dell’Europa e
per questo l’Europa deve lavorare con gli europei, deve lavorare con le persone. Se
l’Europa rimane un’istituzione teorica e artificiale, non sarà mai l’Europa: l’Europa
è quella dei suoi cittadini. E per questo che il cristianesimo ritiene di avere un
grande ruolo e la Chiesa altrettanto: il cristianesimo ha una visione dell’uomo, della
persona umana, una visione della dignità della persona umana, della libertà, della
coesione sociale, della solidarietà, in particolare – direi – della fraternità. E’
questa fraternità che deve maturare tra gli europei e a livello internazionale, e
che poi porta con sé la solidarietà a livello economico, la capacità politica, la
capacità di trasformare in concreto questa dimensione di fratellanza universale. Inoltre,
la Chiesa ha di per sé la vocazione alla cattolicità, la visione dell’universalità.
Quindi, la Chiesa sa che può dare un grande contributo perché, di fatto, è una realtà
già al di là delle frontiere in Europa e al di là delle frontiere mondiali: è già
un popolo internazionale, un popolo che mette insieme le diversità culturali, le diversità
dei popoli e quelle religiose. Questo mi sembra un contributo essenziale. Poi, la
Chiesa dà anche un contributo tipicamente spirituale, quello cioè di pregare per l’Europa
e di creare dei luoghi per pregare. Nella storia abbiamo sempre avuto questi luoghi,
pensiamo ai monasteri. Ma anche oggi abbiamo bisogno di questo, come ha detto il Papa
nella Caritas in veritate: abbiamo bisogno di persone che abbiano le braccia
alzate e che preghino per l’Europa. E questo diventerà anche una forza dialogica,
una forza di conciliazione, a cominciare dall'interno della Chiesa cattolica, a livello
ecumenico. Un grande contributo che la Chiesa può dare all’Europa e al mondo è il
processo di riconciliazione dei cristiani, l’incontro tra le religioni, perchè la
religione è una dimensione fondamentale del dialogo interculturale. La religione può
presentare dei laboratori di solidarietà concreta, può far vedere come la carità possa
diventare anima dell’economia. Può signifare avere non solo spazi di carità al di
fuori dell’economia ufficiale, ma considerare cosa vuol dire prendere la luce della
carità e dell’amore e introdurlo in economia, introdurlo in politica. Dell’attualità
della Dichiarazione di Schuman, Fausta Speranza ha parlato anche con l’ambasciatore
Yves Gazzo, capo della delegazione dell’Unione Europea presso la Santa Sede.
R. – There
was a major bigger crisis … C’era una grande crisi, quando il signor Schuman
ha fatto questa dichiarazione, perché era il periodo subito dopo la guerra e c’era
molto nervosismo e amarezza tra i popoli, in Europa. L’Europa, dunque, è stata creata
dopo la grande crisi dell’acciaio. Quindi, lui ha lanciato questo messaggio per creare
riconciliazione, basata sulla pace e sulla solidarietà. E penso che tutti questi elementi
siano attuali anche oggi. Oggi ancora, se si guarda alla crisi economica, si capisce
che è una questione di solidarietà. Quindi, quello che è stato detto 60 anni fa è
di grande attualità oggi. Dobbiamo, dunque, costruire su questi valori, perché la
pace non è qualcosa di garantito: dobbiamo meritarla e dobbiamo combattere per essa,
e si deve costruire una rete di solidarietà tra i popoli. Penso che il Trattato di
Lisbona rappresenti un passo avanti in questo senso, perché fornisce alcuni strumenti:
è, direi, una sorta di “cassetta degli attrezzi” per creare più solidarietà nell’Europa
allargata, perché ora siamo in 27 e abbiamo bisogno di strumenti per rendere un servizio
straordinario. Ci vuole tempo. E in più, ci sono cose che 60 anni fa non erano prevedibili,
come il cambiamento climatico, il problema demografico e il terrorismo.