2010-05-09 10:46:42

Sessant'anni fa la Dichiarazione di Robert Schuman che avviava l’integrazione europea


Il 9 maggio si festeggia la nascita dell'Europa comunitaria, perché in quella stessa data, nel 1950, Robert Schuman, uno dei padri fondatori, pronunciò il celebre discorso che pose le basi per la nuova integrazione degli Stati europei, fondata sull'impegno del mantenimento di relazioni pacifiche. Il 2010 ricorda dunque i 60 anni dell’avvio dell'istituzione sovranazionale incaricata della gestione in Europa dell'industria del carbone e dell'acciaio, materie prime indispensabili per qualsiasi potenza militare. L'obiettivo, infatti, era prevenire altri conflitti dopo il disastroso Secondo conflitto mondiale. Oggi, l’Unione Europea è un’istituzione economica e politica, per certi aspetti ancora in costruzione. E sta attraversando la difficile crisi economica che dalla Grecia scuote tutti gli Stati membri. Delle difficoltà e delle prospettive, Fausta Speranza ha parlato con mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa:RealAudioMP3

R. – Il 10 maggio del ’50, Schuman aveva già visto la possibilità di un processo di unificazione del nostro continente, con la coscienza che l’Europa non si sarebbe fatta con un colpo improvviso, ma attraverso un processo. Lui intravedeva la possibilità di una “federazione europea”. Poi, sono venute le tappe concrete che noi possiamo a vedere. Schumann ne vedeva l'avvio partendo dalla Francia e dalla Germania, le due nazioni che erano state maggiormente implicate nei terribili conflitti precedenti. In questo senso, si comprende anche il ruolo di Strasburgo e delle istituzioni con sede a Strasburgo, nella regione di frontiera dell’Alsazia tra Francia e Germania. In seguito, abbiamo visto che la questione dell’unificazione sarebbe stata la questione est-ovest, per l’esistenza del Muro, e dopo la sua caduta, il cammino di un’Europa a due polmoni. Attualmente, io direi che la questione è l’Europa e il mondo. Noi, oggi, probabilmente dovremmo fare una dichiarazione di unità del mondo più che una dichiarazione di unità soltanto dell’Europa. Ed è interessante che nella sua Dichiarazione Schuman dicesse già allora, nel 1950: se l'Europa comincia un processo di unificazione, avrà maggiori mezzi per contribuire ad un suo compito essenziale, che è quello dello sviluppo del continente africano. Ho trovato molto interessante questo: lui vedeva l’Europa, ma vedeva già il compito dell’Europa verso gli altri continenti, in particolare l’Africa. La sua prima intuizione, quindi, è che i problemi vanno oggi affrontati in un approccio europeo e noi potremmo dire, adesso più chiaramente ancora, con un approccio mondiale.
 
D. – Perché l’Europa abbia un ruolo davvero a livello mondiale, che cosa raccomanda la Chiesa d’Europa ai politici e ai cittadini?
 
R. – Per avere un ruolo concreto, forse la prima cosa che la Chiesa raccomanda è di avere una "visione": sembra astratto, ma si tratta di avere una visione, di avere un’idea dell’Europa e per questo l’Europa deve lavorare con gli europei, deve lavorare con le persone. Se l’Europa rimane un’istituzione teorica e artificiale, non sarà mai l’Europa: l’Europa è quella dei suoi cittadini. E per questo che il cristianesimo ritiene di avere un grande ruolo e la Chiesa altrettanto: il cristianesimo ha una visione dell’uomo, della persona umana, una visione della dignità della persona umana, della libertà, della coesione sociale, della solidarietà, in particolare – direi – della fraternità. E’ questa fraternità che deve maturare tra gli europei e a livello internazionale, e che poi porta con sé la solidarietà a livello economico, la capacità politica, la capacità di trasformare in concreto questa dimensione di fratellanza universale. Inoltre, la Chiesa ha di per sé la vocazione alla cattolicità, la visione dell’universalità. Quindi, la Chiesa sa che può dare un grande contributo perché, di fatto, è una realtà già al di là delle frontiere in Europa e al di là delle frontiere mondiali: è già un popolo internazionale, un popolo che mette insieme le diversità culturali, le diversità dei popoli e quelle religiose. Questo mi sembra un contributo essenziale. Poi, la Chiesa dà anche un contributo tipicamente spirituale, quello cioè di pregare per l’Europa e di creare dei luoghi per pregare. Nella storia abbiamo sempre avuto questi luoghi, pensiamo ai monasteri. Ma anche oggi abbiamo bisogno di questo, come ha detto il Papa nella Caritas in veritate: abbiamo bisogno di persone che abbiano le braccia alzate e che preghino per l’Europa. E questo diventerà anche una forza dialogica, una forza di conciliazione, a cominciare dall'interno della Chiesa cattolica, a livello ecumenico. Un grande contributo che la Chiesa può dare all’Europa e al mondo è il processo di riconciliazione dei cristiani, l’incontro tra le religioni, perchè la religione è una dimensione fondamentale del dialogo interculturale. La religione può presentare dei laboratori di solidarietà concreta, può far vedere come la carità possa diventare anima dell’economia. Può signifare avere non solo spazi di carità al di fuori dell’economia ufficiale, ma considerare cosa vuol dire prendere la luce della carità e dell’amore e introdurlo in economia, introdurlo in politica.
 
Dell’attualità della Dichiarazione di Schuman, Fausta Speranza ha parlato anche con l’ambasciatore Yves Gazzo, capo della delegazione dell’Unione Europea presso la Santa Sede.RealAudioMP3

R. – There was a major bigger crisis …
C’era una grande crisi, quando il signor Schuman ha fatto questa dichiarazione, perché era il periodo subito dopo la guerra e c’era molto nervosismo e amarezza tra i popoli, in Europa. L’Europa, dunque, è stata creata dopo la grande crisi dell’acciaio. Quindi, lui ha lanciato questo messaggio per creare riconciliazione, basata sulla pace e sulla solidarietà. E penso che tutti questi elementi siano attuali anche oggi. Oggi ancora, se si guarda alla crisi economica, si capisce che è una questione di solidarietà. Quindi, quello che è stato detto 60 anni fa è di grande attualità oggi. Dobbiamo, dunque, costruire su questi valori, perché la pace non è qualcosa di garantito: dobbiamo meritarla e dobbiamo combattere per essa, e si deve costruire una rete di solidarietà tra i popoli. Penso che il Trattato di Lisbona rappresenti un passo avanti in questo senso, perché fornisce alcuni strumenti: è, direi, una sorta di “cassetta degli attrezzi” per creare più solidarietà nell’Europa allargata, perché ora siamo in 27 e abbiamo bisogno di strumenti per rendere un servizio straordinario. Ci vuole tempo. E in più, ci sono cose che 60 anni fa non erano prevedibili, come il cambiamento climatico, il problema demografico e il terrorismo.







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