2010-05-02 13:57:18

Mons. Rosa Chavez: prevenzione, non repressione per contrastare la violenza in Salvador


Emergenza sicurezza nel Salvador: il ministro della Difesa ha dispiegato migliaia di soldati nelle strade della capitale per contrastare il fenomeno della violenza. Nel Paese vengono commessi oltre 400 omicidi al mese. La Chiesa salvadoregna, da parte sua, sta cercando di contrastare la povertà crescente della popolazione, soprattutto quella dei giovani costretti a vivere sulla strada. Antonella Palermo ha intervistato a questo proposito mons. Gregorio Rosa Chavez, vescovo ausiliare di San Salvador:RealAudioMP3

R. – Papa Benedetto XVI, quando ha visitato il Brasile ha detto: “Questa Chiesa è la Chiesa della speranza, ma deve diventare anche la Chiesa dell’amore, cioè la Chiesa dove regna la giustizia”. Ecco la sfida globale. La globalizzazione è una cosa terribile per noi, perché la differenza, la distanza tra i poveri e i ricchi si è fatta più ampia. La nostra risposta è quella di globalizzare la solidarietà.
 
D. – Quali sono gli orientamenti che la Chiesa locale sta attuando per strappare i giovani alla strada, a queste situazioni di disagio e di marginalità?
 
R. – Da noi la violenza regna ovunque. Siamo, più o meno, sei milioni di persone, ma ogni giorno dodici persone vengono ammazzate, e sono soprattutto giovani. Ecco perché la questione della violenza diventa per noi fondamentale: come affrontare questa realtà? I giovani hanno diritto ad un’opportunità. Si pensa che la repressione sia la soluzione e noi pensiamo di no.
 
D. – La repressione in che senso?
 
R. – Affrontare la violenza con la violenza: per esempio, con la polizia, con il carcere, con leggi dure. Ma se lei guarda come vive la famiglia, quanto sia divisa nelle situazioni di povertà, di mancanza di lavoro, di sicurezza e così via, lei capisce che la soluzione passa per la prevenzione e per l’inserimento nella società, soprattutto nell’offrire alla gioventù delle opportunità per studiare, per lavorare e così via.
 
D. – Sono molti gli emigrati, coloro che lasciano il Salvador per condizioni di vita migliori...
 
R. – La settimana scorsa abbiamo ricevuto un ultimo dato, che dice che negli Stati Uniti vive il 20 per cento circa della popolazione del Salvador ma penso che la cifra sia anche maggiore.
 
D. – Nei confronti di queste persone che lasciano il vostro Paese che tipo di politica lei auspica?
 
R. – Noi diciamo due cose ai nostri compatrioti. Prima di tutto che il tesoro più grande che viaggia con loro è la fede. Seconda cosa, bisogna guardare i valori della cultura latino-americana, una cultura dove la famiglia è molto importante, dove la solidarietà è una cosa normale. Quando ci si reca in un Paese come gli Stati Uniti, è grande il pericolo di diventare individualisti, egoisti. Ecco perché noi tentiamo di inviare dei preti nelle nostre comunità. Nella Chiesa è una cosa nuova: il futuro della Chiesa degli Stati Uniti - va ricordato - dipende dal contributo degli immigrati latino-americani. Questa è una cosa interessantissima, molto impegnativa e – per così dire - consolante.







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