Mons. Rosa Chavez: prevenzione, non repressione per contrastare la violenza in Salvador
Emergenza sicurezza nel Salvador: il ministro della Difesa ha dispiegato migliaia
di soldati nelle strade della capitale per contrastare il fenomeno della violenza.
Nel Paese vengono commessi oltre 400 omicidi al mese. La Chiesa salvadoregna, da parte
sua, sta cercando di contrastare la povertà crescente della popolazione, soprattutto
quella dei giovani costretti a vivere sulla strada. Antonella Palermo ha intervistato
a questo proposito mons. Gregorio Rosa Chavez, vescovo ausiliare di San Salvador:
R. – Papa
Benedetto XVI, quando ha visitato il Brasile ha detto: “Questa Chiesa è la Chiesa
della speranza, ma deve diventare anche la Chiesa dell’amore, cioè la Chiesa dove
regna la giustizia”. Ecco la sfida globale. La globalizzazione è una cosa terribile
per noi, perché la differenza, la distanza tra i poveri e i ricchi si è fatta più
ampia. La nostra risposta è quella di globalizzare la solidarietà. D.
– Quali sono gli orientamenti che la Chiesa locale sta attuando per strappare i giovani
alla strada, a queste situazioni di disagio e di marginalità? R.
– Da noi la violenza regna ovunque. Siamo, più o meno, sei milioni di persone, ma
ogni giorno dodici persone vengono ammazzate, e sono soprattutto giovani. Ecco perché
la questione della violenza diventa per noi fondamentale: come affrontare questa realtà?
I giovani hanno diritto ad un’opportunità. Si pensa che la repressione sia la soluzione
e noi pensiamo di no. D. – La repressione in che senso? R.
– Affrontare la violenza con la violenza: per esempio, con la polizia, con il carcere,
con leggi dure. Ma se lei guarda come vive la famiglia, quanto sia divisa nelle situazioni
di povertà, di mancanza di lavoro, di sicurezza e così via, lei capisce che la soluzione
passa per la prevenzione e per l’inserimento nella società, soprattutto nell’offrire
alla gioventù delle opportunità per studiare, per lavorare e così via. D.
– Sono molti gli emigrati, coloro che lasciano il Salvador per condizioni di vita
migliori... R. – La settimana scorsa abbiamo ricevuto un ultimo
dato, che dice che negli Stati Uniti vive il 20 per cento circa della popolazione
del Salvador ma penso che la cifra sia anche maggiore. D. –
Nei confronti di queste persone che lasciano il vostro Paese che tipo di politica
lei auspica? R. – Noi diciamo due cose ai nostri compatrioti.
Prima di tutto che il tesoro più grande che viaggia con loro è la fede. Seconda cosa,
bisogna guardare i valori della cultura latino-americana, una cultura dove la famiglia
è molto importante, dove la solidarietà è una cosa normale. Quando ci si reca in un
Paese come gli Stati Uniti, è grande il pericolo di diventare individualisti, egoisti.
Ecco perché noi tentiamo di inviare dei preti nelle nostre comunità. Nella Chiesa
è una cosa nuova: il futuro della Chiesa degli Stati Uniti - va ricordato - dipende
dal contributo degli immigrati latino-americani. Questa è una cosa interessantissima,
molto impegnativa e – per così dire - consolante.