Appello dei vescovi europei da Malaga: riconoscere i diritti degli immigrati, carta
vincente per la società
Un forte appello a riconoscere i diritti degli immigrati, carta vincente per l'Europa
e a superare la paura della diversità nella consapevolezza che il pluralismo culturale
è ormai una realtà imprescindibile delle nostre società: si è concluso così, oggi
a Malaga, in Spagna, l’ottavo Congresso promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali
d’Europa sulle migrazioni nel vecchio continente. Mons. Antonio Maria Vegliò,
presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti,
ha ribadito nell’occasione che la comunità cristiana non può non stare accanto agli
immigrati, che sono tra le persone più indifese e non si identificano con i criminali:
al contrario, sono quasi sempre vittime della criminalità. Sul messaggio lanciato
dai vescovi europei a Malaga, ascoltiamo mons. Vegliò al microfono di Sergio Centofanti:
R. – Noi
desidereremmo raccogliere la sfida di considerare le migrazioni moderne in luce positiva,
come fatto che interpella in modo particolare la responsabilità dei cristiani a svolgere
un ruolo attivo nei progetti di accoglienza e di integrazione. I migranti rappresentano
una preziosa risorsa per lo sviluppo dell’intera famiglia dei popoli. Certo, perché
tale visione diventi sempre più condivisa e incoraggi la collaborazione di tutti i
Paesi in dimensione mondiale, è necessario puntare su strategie di integrazione, di
intercultura e di dialogo, e salvaguardando le legittime aspirazioni di tutti alla
sicurezza e alla legalità. D. – Che cosa può fare di più l’Europa
per riconoscere, come ha chiesto il Papa nel suo messaggio, i diritti dei migranti? R.
– Vede, questo congresso tra le altre cose ha cercato di segnalare anche quanto ancora
non è stato realizzato da parte dei governi per la tutela dei diritti dei migranti
come la ratifica della Convenzione internazionale per la difesa dei diritti di tutti
i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, adottata dall’Assemblea generale
delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1990, ed entrata in vigore il 1° luglio 2003, ma
ancora non ratificata da molti Paesi, soprattutto tra quelli di destinazione dei flussi
migratori. Poi, solleciteremo i governi ad assumere sempre più una mentalità positiva
nei confronti delle migrazioni, non come scontro di civiltà ma come possibilità di
incontro e di arricchimento tra le culture, anche in vista di creare quella che Papa
Benedetto XVI chiama – appunto – “la famiglia dei popoli”. D.
– Che cosa dire della politica dei respingimenti? R. – Credo
davvero che in alcune situazioni mondiali i diritti dei migranti non siano completamente
tutelati, come nel caso in cui non si garantisce ad una persona che fugge da persecuzioni
la possibilità di appellarsi a convenzioni internazionali per chiedere lo status di
rifugiato, e la si respinge. Oppure quando, come in alcune zone, non è garantito ai
migranti il diritto ad un regolare processo, il diritto alla difesa personale, all’appello,
a quella che i vescovi americani chiamano una “comprehensive reform” in riferimento
alla riforma della legislazione migratoria che da tempo è al vaglio in quel Paese.
Del resto, è ancora un diritto non da tutti i Paesi riconosciuto, oppure reso impraticabile
da eccessive condizioni imposte, quello dell’assistenza; il diritto alla partecipazione
e alla cittadinanza per l’immigrato che lavora regolarmente, che paga le tasse e cerca
di integrarsi nel tessuto sociale e civile del Paese che lo ospita.