Fare il punto sulle nuove armi terapeutiche nella lotta alle mielodisplasie, malattie
del sangue che colpiscono il midollo osseo: questo l’obiettivo del Convegno scientifico
ospitato a Roma ieri e oggi a cui partecipano, per la prima volta in Italia, oltre
300 ematologi. L’iniziativa è stata promossa dall’Ail, l’associazione italiana contro
le leucemie e i linfomi, che ha fatto precedere al Convegno un incontro tra medici,
familiari e pazienti per uno scambio di informazioni ed esperienze volte a migliorare
la qualità della vita degli ammalati. Ma che cosa significa avere una sindrome mielodisplastica?
Adriana Masotti lo ha chiesto al prof. Sante Tura, direttore dell’Istituto
di ematologia all’Università di Bologna e coordinatore scientifico dell'evento:
R.
- Significa avere una condizione pre-leucemica, cioè un’anticipazione di una leucemia
acuta, e poiché colpisce prevalentemente le persone anziane, questo costituisce un
problema clinico molto importante.
D. – Che cosa comporta
in più il fatto che questa malattia, questa sindrome, colpisca persone di età avanzata?
R.
– Il problema è che la leucemia acuta per essere curata richiede una terapia aggressiva
molto tossica, che ovviamente non possiamo utilizzare nelle persone anziane, pena
delle complicanze estremamente temibili e gravi.
D.
– Durante il convegno di questi giorni, s’illustreranno le più recenti novità in termini
di strategie terapeutiche nelle mielodisplasie, che cosa ci può dire in merito?
R.
– Questa patologia relativamente frequente in Italia, si registrano circa cinque mila
casi ogni anno, questa patologia era estremamente trascurata perché non avevamo farmaci
che fossero in grado di modificare la storia naturale, quindi la prognosi di questi
pazienti. Dal 2005 sono stati messi a disposizione vecchi farmaci con nuova indicazione
e nuovi farmaci, che hanno e stanno modificando radicalmente la prognosi di questi
pazienti. Sono farmaci con poca tossicità e molta efficacia. In altri termini, prima
del 2005 un paziente con una mielodisplasia, veniva curato solo con delle trasfusioni,
cioè con una terapia incapace di modificare il decorso clinico. Oggi questo non è
più cosi, e c’è un fervore notevole d’incontri mirati alla discussione, mirati alla
formazione dei medici… Questo interesse è esploso.
D.
– Dal punto di vista sociale l’accesso a questi farmaci, alle cure, è alla portata
di tutti?
R. – Si. Pensi che un paziente che vive di
trasfusioni è un paziente che ha una qualità di vita pessima. Oggi questi farmaci
elevano il livello di emoglobina nel sangue e il paziente non ha più bisogno delle
trasfusioni e vive bene, ovviamente. L’Ail ha organizzato qui a Roma in questi giorni
un seminario insieme a medici a pazienti e ai loro familiari, proprio per informarli
di questi progressi e quindi di quello che può essere un futuro migliore.
D.
– E anche l’informazione è un’attività che va a beneficio dei malati?