2010-04-29 15:17:15

La riconciliazione in Sierra Leone e in Liberia: la testimonianza dei vescovi


“Le ferite di una guerra decennale in Liberia sono difficili da rimarginare ma si stanno facendo dei progressi nel campo della riconciliazione. Vi sono diversi operatori di pace stranieri che vengono in Liberia per lavorare insieme con la Chiesa locale” afferma all'agenzia Fides padre Chris Brennan, amministratore apostolico della diocesi di Gbarnga, nel nord del Paese. “Tutta la Liberia è stata colpita dalla guerra, e la Chiesa ha risentito degli effetti negativi del conflitto. Abbiamo subito la distruzione delle infrastrutture ecclesiali, diversi missionari, sacerdoti e suore, sono stati costretti ad abbandonare il Paese, riducendo significativamente la capacità di intervento della Chiesa. Dopo la fine della guerra è stato difficile rimettere in piedi immediatamente le strutture della Chiesa” dice il missionario. “Nonostante le difficoltà la Chiesa continua a contribuire allo sviluppo della Liberia attraverso l’educazione, la sanità e naturalmente le attività pastorali” afferma padre Brennan. Uno dei crimini più violenti della guerra in Sierra Leone e in Liberia è stato il reclutamento dei bambini soldato. La Chiesa è molto impegnata nel reinserimento di questi giovani nella società civile sia in Sierra Leone, sia in Liberia. “Molti giovani sono stati coinvolti nella guerra, tra questi vi sono i bambini soldato, non per loro scelta. In effetti sono delle vittime della guerra. Stiamo cercando di reinserirli nella società, attraverso dei programmi appositi delle Nazioni Unite, delle Chiese e di altre organizzazioni. Purtroppo vi sono alcuni che non riescono a reintegrasi e rimangono ai margini della società oppure si trasferiscono altrove per combattere come mercenari” afferma padre Brennan. “Dalla fine della guerra in Sierra Leone (2002) abbiamo avuto due elezioni che hanno segnato una tappa positiva nel ritorno alla pace” afferma mons. Patrick Daniel Koroma, vescovo di Kenema e neo-eletto presidente della Conferenza episcopale di Gambia e Sierra Leone. “La popolazione vuole la pace dopo le violenze di una guerra brutale. Le difficoltà maggiori sono legate alla situazione economica. La popolazione vuole rifarsi una vita, ma la disoccupazione è in crescita e questo comporta gravi difficoltà, specie per i giovani. Per questo motivo è in aumento il flusso emigratorio verso altri Paesi. Il processo di riconciliazione – continua mons. Koroma - sta procedendo bene, anche perché prima ancora che l’accordo di pace fosse firmato eravamo stanchi della guerra. Le distruzioni causate dal conflitto erano ben visibili all’intera popolazione della Sierra Leone. Inoltre il conflitto non era una guerra etnica, ma un conflitto per il controllo delle risorse del Paese, in particolare i diamanti, i “diamanti di sangue”; quindi una guerra imposta al Paese da forza esterne. Come Chiesa - continua il presule - siamo impegnati nell’evangelizzazione e in attività di promozione umana. Collaboriamo con il governo nel campo della sanità, con i nostri ospedali, e in quello educativo, con le scuole cattoliche. La Chiesa educa le persone a vivere insieme e al perdono reciproco. È facile ricostruire gli edifici distrutti, ma ricostruire le menti, curare le ferite spirituali è molto più difficile. I nostri sacerdoti, i nostri catechisti sono impegnati da tempo a curare queste ferite” conclude mons. Koroma. (R.P.)







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