Il Papa all'udienza generale ricorda due santi sacerdoti, Murialdo e Cottolengo, testimoni
della carità
Due grandi sacerdoti dell’Ottocento, San Leonardo Murialdo e San Giuseppe Benedetto
Cottolengo, sono stati oggi i protagonisti della catechesi di Benedetto XVI, all’udienza
generale in Piazza San Pietro. Il Papa ha parlato della loro testimonianza cristiana
in favore dei poveri e della coerenza del loro sacerdozio, ricordando in particolare
del Murialdo i 110 anni dalla morte e i 40 dalla canonizzazione, e del Cottolengo
il secondo centenario dell’ordinazione sacerdotale. Il servizio di Alessandro De
Carolis:
Due uomini
della Provvidenza – creduta, servita e testimoniata – entrambi piemontesi ed entrambi
in azione, con le loro opere di aiuto ai più poveri, nella Torino ottocentesca, quella
di Don Bosco. Alle migliaia di persone in Piazza San Pietro, oggi illuminata da un
bel sole, Benedetto XVI non ha nascosto la propria ammirazione per San Leonardo Murialdo
e San Giuseppe Benedetto Cottolengo, definiti all’inizio della catechesi “due santi
sacerdoti esemplari nella loro donazione a Dio e nella testimonianza della carità”.
Il Papa ha presentato per primo il Murialdo, scomparso esattamente 110 anni fa, il
30 marzo del 1900, e canonizzato da Paolo VI il 3 maggio di 40 anni fa. Torinese,
ottavo figlio “di una famiglia semplice”, Leonardo ha un’ottima formazione cristiana,
seguita da una crisi spirituale e da un nuovo, come lo chiamò, “ritorno alla luce”.
Si fa sacerdote, conosce Don Bosco che lo mette a capo di un Oratorio, e matura –
ha detto il Pontefice – una “profonda sensibilità sociale, educativa e apostolica”:
“Mi
piace sottolineare che il nucleo centrale della spiritualità del Murialdo è la convinzione
dell’amore misericordioso di Dio: un Padre sempre buono, paziente e generoso, che
rivela la grandezza e l’immensità della sua misericordia con il perdono”. Leonardo
sarà sempre un uomo e un sacerdote “riconoscente” verso Dio, che un giorno mentre
si trovava, scrisse, “nel fondo dell’abisso (…) là Dio venne a cercarmi” e là gli
“fece intendere la sua voce”. Per questo, ha notato Benedetto XVI, visse “la serena
consapevolezza del proprio limite”, accompagnandolo da un “impegno costante e generoso
di conversione” e dalla piena coscienza della sua missione di sacerdote, quella di
“salvare le anime”:
“San Leonardo ricordava sempre
a se stesso e ai confratelli la responsabilità di una vita coerente con il sacramento
ricevuto. Amore di Dio e amore a Dio: fu questa la sua forza, la forza del suo cammino
di santità, la legge del suo sacerdozio, il significato più profondo del suo apostolato
tra i giovani poveri e la fonte della sua preghiera”. Se
San Leonardo Murialdo si abbandonò “con fiducia alla Provvidenza” – sulla quale poggiò
le basi della Congregazione di San Giuseppe, da lui fondata nel 1873 e dedita all’assistenza
dell’infanzia abbandonata – altrettanto fece Giuseppe Benedetto Cottolengo, che alla
Divina Provvidenza intitolò la sua “Piccola Casa” aperta ad ogni bisogno sociale e
spirituale:
“Fu sempre pronto a seguire e a servire
la Divina Provvidenza, mai ad interrogarla. Diceva: ‘Io sono un buono a nulla e non
so neppure cosa mi faccio. La Divina Provvidenza però sa certamente ciò che vuole.
A me tocca solo assecondarla. Avanti in Domino’. Per i suoi poveri e i più bisognosi,
si definirà sempre ‘il manovale della Divina Provvidenza’”. Ricordando
che proprio domenica prossima, durante la sua visita pastorale a Torino in occasione
dell’Ostensione della Sindone, avrà modo di incontrare alcuni ospiti della “Piccola
Casa”, Benedetto XVI ha descritto l’episodio che in modo decisivo porterà il Cottolengo,
fin lì apprezzato sacerdote ma “inquieto” sul suo futuro, a trasformarsi in un apostolo
dei poveri. La domenica del 2 settembre 1827, arriva Torino da Milano una carrozza.
A bordo c’è un’intera famiglia francese: un uomo con cinque figli e la moglie in avanzato
stato di gravidanza e con la febbre alta. Le condizioni della donna, portata in un
ricovero, peggiorano al punto che alcuni si mettono in cerca di un sacerdote. Ed è
il Cottolengo ad incrociare quel dramma e ad assistere agli ultimi istanti di quella
madre. La vicenda lo segna al punto da esclamare davanti al Santissimo: “Mio Dio,
perché? Perché mi hai voluto testimone?”. E poi l’intuizione che lo porterà più tardi
a creare una “sorta di villaggio” in cui accogliere i più bisognosi in una casa, in
una famiglia:
“Volontari e volontarie, uomini
e donne, religiosi e laici, uniti per affrontare e superare insieme le difficoltà
che si presentavano. Ognuno in quella Piccola Casa della Divina Provvidenza aveva
un compito preciso: chi lavorava, chi pregava, chi serviva, chi istruiva, chi amministrava.
Sani e ammalati condividevano tutti lo stesso peso del quotidiano”. Terminando
il ritratto di questi due straordinari sacerdoti, il Papa ha ripetuto che entrambi
trassero “sempre la radice profonda, la fonte inesauribile della loro azione nel rapporto
con Dio, attingendo dal suo amore” e conservando questa “profonda convinzione” nel
cuore:
“Non è possibile esercitare la carità senza
vivere in Cristo e nella Chiesa. La loro intercessione e il loro esempio continuino
ad illuminare il ministero di tanti sacerdoti che si spendono con generosità per Dio
e per il gregge loro affidato, e aiutino ciascuno a donarsi con gioia e generosità
a Dio e al prossimo”. (applausi) Tra
i numerosi saluti in lingua al termine dell’udienza generale, Benedetto XVI ne ha
rivolto uno particolare in inglese alle delegazioni della Chiesa luterana norvegese
e della Chiesa anglicana e al gruppo dei responsabili ebrei della “Pave the Way Foundation”,
in visita in Vaticano.