2010-04-27 14:31:50

A Roma, il Seminario di formazione per i portavoce della Chiesa: superare con professionalità e dialogo i pregiudizi mediatici che colpiscono la sfera religiosa


È possibile oggi mostrare in modo convincente e positivo la bellezza della scelta cristiana? Ed è possibile, per chi lavora in un ufficio di comunicazione della Chiesa, promuovere con coerenza il messaggio cristiano? A queste e ad altre domande risponde il settimo Seminario professionale per i portavoce della Chiesa, in corso a Roma fino a domani, sul tema “Comunicazione della Chiesa: identità e dialogo”. Ma quali sono, oggi, le difficoltà maggiori che incontra un portavoce della Chiesa? Isabella Piro lo ha chiesto a Jozef Kovácik, responsabile della comunicazione per la Conferenza episcopale slovacca:RealAudioMP3

R. – Io credo che la maggior parte sia basata sui pregiudizi. Bisogna edificare tutto il lavoro di un portavoce della Chiesa su una base umana, quindi, incontrare molto spesso i giornalisti, non solo quando c’è un tema "caldo", che magari è anche negativo per la Chiesa, ma incontrarli molto spesso nell’ambito dove lavorano, dove si muovono, parlare con loro, per togliere quei pregiudizi che hanno nei confronti della Chiesa. Si può parlare poi dei temi che per la Chiesa sono molto importanti e sui quali magari i giornalisti non sono preparati, perché manca la formazione professionale e mai hanno sentito il linguaggio teologico. Quindi, avere la pazienza di spiegare le cose importanti per la Chiesa che, secondo noi, è interessante e importante che la gente sappia.

 
D. – Se guardiamo al Pontificato di Benedetto XVI, c’è l’impressione che i mass media abbiano una visione particolare di questo Papa?

 
R. – Secondo me, non è soltanto il Papa, ma è ognuna delle istituzioni che ha un credito morale ed è trattata dai mass media oggi come un nemico. Quindi, anche il Papa viene ogni volta trattato con questo sguardo, come se ci fosse qualcuno che vuole toglierci la nostra libertà. Meno male, però, che questo Papa ha umiltà e pazienza nello spiegare che quello che la Chiesa offre alla gente è la via della libertà, è la via del rispetto umano. Secondo me, bisogna tener conto della superficialità dei giornalisti, che magari risentono della pressione dei tempi e dell’informazione e vogliono quindi essere i primi, vogliono scrivere tutto in poche righe. E’ una cosa, dunque, che dobbiamo affrontare e non dobbiamo averne paura. D’altra parte, però, dobbiamo anche pazientemente spiegare che quello che fa il Papa è molto importante, non solo per la Chiesa, ma per la società come tale.

 
D. – Come informare in modo approfondito, senza restare indietro nei tempi...

 
R. – E’ difficile, ma prima di tutto vuol dire dialogare, cioè avere il tempo per i giornalisti. Quindi, pazientemente spiegare, stare con loro. Sembra una cosa impossibile in questi tempi, perché il giornalismo è cambiato radicalmente negli ultimi anni. Per noi, però, è un’opportunità. Non ci dobbiamo spaventare, ma cercare con la professionalità e la pazienza di portare questa informazione ai giornalisti. C’è poi anche la pressione di coloro che sono i proprietari di questi mass media e che a volte sono contro la Chiesa. Vale comunque molto poi il rapporto umano con il giornalista, che magari cercherà di parlare di quello che la Chiesa reputa necessario.

 
D. – Il messaggio della Chiesa è universale, poi però ci sono i problemi legati alle Chiese locali. Come mettere d’accordo la comunicazione su questi due fronti?

 
R. – Io provengo dalla Slovacchia, quindi un Paese piccolo di cinque milioni di abitanti. Lì si riscontra un grande problema: i giornalisti slovacchi, se si tratta di informazione dal mondo, quasi sempre la prendono dalle agenzie estere. Quindi, per noi è importante dare sempre qualche esempio locale per poter capire questa realtà universale. Credo, dunque, che questo ponte che crea il portavoce, che crea l’ufficio stampa, sia proprio quello di cercare di applicare le norme universali alla vita delle persone che vivono nel proprio Paese. Non dobbiamo vedere il cristiano staccato dalla società, ma anzi dobbiamo vederlo e raccontarlo come parte della società, una parte molto attiva. Diventa così una cosa positiva e non negativa.

 
D. – Quindi, questo Convegno può fare qualcosa, può rinnovare il messaggio della Chiesa?

 
R. – Credo di sì, perché è molto importante per scambiare le nostre esperienze e per avere il senso di quello che vive la Chiesa, magari in un altro continente. Questa esperienza può essere molto importante anche per i Paesi che magari non tocca, ma l’esperienza della Chiesa come tale può contribuire alla Chiesa particolare in ogni Paese.







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