Cerimonie di Beatificazione domenica in Spagna e Italia: elevati agli altari il capuccino
José Tous y Soler e il carmelitano Angiolo Paoli
Domani la Chiesa celebra due Beatificazioni. Una si terrà a Barcellona nella Basilica
di Santa Maria del Mar, dove il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, presenzierà
alla cerimonia per la Beatificazione di padre Josep Tous y Soler, cappuccino che visse
nell’800. L’altro rito si svolgerà a Roma, nella Basilica di San Giovanni in Laterano,
e riguarda la Beatificazione del carmelitano, padre Angiolo Paoli, vissuto tra il
'600 e il '700. Il servizio Eugenio Bonanata:
Padre Paoli
nacque il primo settembre 1642 ad Argigliano, in Toscana, da una famiglia modesta
dalla quale ricevette una solida educazione cristiana. Verso i 18 anni chiese di diventare
sacerdote, orientando la sua scelta verso i Carmelitani. Non si conosce con esattezza
la data dell’ordinazione presbiterale, ma si sa che nel 1667 celebrò la sua prima
Messa. Visse in vari conventi toscani, a Siena, Pisa e Firenze prima di trasferirsi
a Roma, nel convento di San Maritno ai Monti, all’Esquilino, chiamato dal suo superiore
generale che aveva sentito parlare molto dell’esemplarità della sua vita religiosa.
Una vita al fianco di poveri ed ammalati, come conferma l’arcivescovo Angelo
Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, intervistato
da Roberto Piermarini:
“La sua
vita sembra una raccolta di fioretti francescani, tutti testimoniati, da persone degne
di fede. Ad esempio, appena giunto a Roma, dinanzi alla porta di Piazza del Popolo
- siamo nei 1687 - gli si avvicina un lebbroso e subito lo abbraccia. Gli atti processuali
dicono testualmente che il lebbroso “abbracciato da padre Angiolo, leccandogli la
testa plena di lepra nei tempo stesso che egli leccava e lambiva, la lepra spariva”.
Padre
Angiolo rimase a Roma fino alla sua morte avvenuta nel 1720. Diventò economo, sacrestano
e organista, senza mai dimenticare i più bisognosi che sapevano della sua disponibilità.
Lo chiamavano Padre Carità. Era sua abitudine scendere nel cortile la mattina dove
trovava centinaia di persone. A loro parlava di Dio ma dava anche da mangiare. “Più
poveri vengono più provviste arrivano”, era solito dire:
"C’era
un buon sacerdote che lo assisteva, un certo don Giovanni Santinelli. Questi un giorno
chiese a padre Angiolo dove doveva prendere il pane, dal momento che non c’era più
niente. II padre gli rispose: lo possiedo una gran dispensa dove non manca mai niente.
II Santinelli, pensoso, si avvia alla cella e trova ogni ben di Dio: pane e vino in
abbondanza. Dopo la distribuzione, il Santinelli volle approfondire la questione e
chiese al padre superiore e ai frati del Convento dove era la dispensa o il ripostiglio
segreto di padre Angiolo, ma tutti gli risposero che non c’era nessuna dispensa e
nessun deposito di viveri".
Padre Angiolo non aveva nulla. La sua unica
dispensa era la generosità quotidiana dei benefattori. Ancora mons. Amato:
"Un
giorno, in cortile c’era una schiera di poveri, per la precisione 284; nella sacca
del pane, invece, c’erano solo 52 pagnotte intere e quattro mezze. Come fare a dare
a ogni donna e a ogni uomo una pagnotta intera e mezza pagnotta ai bambini? II padre
Angiolo, senza scomporsi, risponde di confidare nella Provvidenza divina. E comincia
a dare una pagnotta a ogni adulto e, quella volta, una pagnotta intera anche ai ragazzi.
II già citato Santinelli che lo aiutava era angosciato per quella generosità sconsiderata,
che avrebbe lasciato senza niente la maggior parte dei presenti. Invece il padre continuò
a dare un pane a testa fino a quando tutti i 284 poveri ebbero ricevuto la loro razione.
Al Santinelli che chiese a quale forno si riforniva, il nostro Beato rispose serafico:
al forno della Provvidenza".
Tra le persone che provavano verso di lui
grande stima, anche i Pontefici Innocenzo XII e Clemente XI che ripetutamente gli
offrirono la porpora, sempre rifiutata perché gli avrebbe impedito di proseguire il
suo servizio al fianco dei poveri e anche dei malati. Significativa a riguardo la
sua ultima opera benefica, un ricovero per malati detto il “Convalezenziario dei Poveri”:
"Una
volta usciti guariti dagli ospedali, molti artigiani e operai non avevano la possibilità
di un periodo di convalescenza per riprendere le forze e poter lavorare. Finivano
quasi tutti per strada come accattoni. Padre Angiolo volle porvi rimedio, fondando
con l’aiuto di benefattori, un istituto per i convalescenti poveri, i quali potessero
essere accolti e nutriti non per uno o due giorni, ma per tutto il periodo del loro
recupero. Fu una intuizione di una modernità straordinaria".
Una modernità
che, malgrado un’esperienza antica di secoli, resta viva grazie all’irrefrenabile
ansia di carità testimoniata da padre Angiolo, come conferma mons. Amato:
"I
poveri ci sono e ci saranno sempre tra noi. E il Signore manda sempre i suoi figli
più buoni per venire incontro a questi bisognosi, che sono il suo volto sofferente
nella storia. In secondo luogo, l’inno alla carità di padre Angiolo non fu da lui
recitato solo a parole ma realizzato nei fatti. La sua fu una carità creatrice di
novità nell’assistenza ai bisognosi. Ed è proprio questa carità a rendere contemporanei
i martiri e i confessori dei primi secoli della Chiesa, come quelli del medioevo o
dei secoli più vicini a noi. Non e il tempo che determina la qualità del loro eroismo,
ma la virtù della carità, la quale non avrà mai fine".
Domani,
poi, nella Basilica di Santa Maria del Mar, a Barcellona, ci sarà la Beatificazione
di padre Josè Tous y Soler, alla presenza del cardinale Bertone. Padre Josè visse
in epoca di grandi difficoltà per la chiesa locale. Nato ad Igualada nel 1811, aveva
16 anni quando entrò nell’Ordine cappuccino. Passò per vari conventi del Paese preparandosi
all'ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1834. Un anno dopo dovette affrontare una
delle prove più dure della sua vita: l’esilio a causa della persecuzione vissuta in
Spagna nel XIX secolo, quando sulla scia delle idee della rivoluzione francese fu
decretata la soppressione di molti conventi. Padre Josè visse in Francia e Italia,
per poi tornare in Spagna dove comunque fu costretto a vivere lontano dalla fraternità.
Restò
sempre un autentico frate cappuccino, vivendo da povero, coltivando l’umiltà, l’amore
per il silenzio e dedicandosi alle necessità materiali e spirituali di quanti incontrava.
Scoprì di avere una particolare sensibilità verso l'educazione dei bambini. Trovò
questa stessa sensibilità anche in tre ragazze che volevano impegnarsi nell’educazione
cristiana della gioventù. Decise di guidarle e nel 1850 fondò la Congregazione delle
Suore Cappuccine della Madre del Divin Pastore, oggi presente non solo in Spagna ma
anche in America Latina. Padre Josè morì nel 1871 proprio mentre celebrava l’Eucarestia
nel collegio della Madre del Divin Pastore a Barcellona.