Satanismo e sette al centro del corso su “Esorcismo e preghiera di liberazione”
Prosegue presso l’Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" il quinto corso “Esorcismo
e preghiera di liberazione”. Al centro delle giornate di studio, che si concluderanno
domani, ci sono l’esorcismo, il fenomeno del satanismo e delle sette. Durante il corso,
aperto sia ai sacerdoti sia ai laici, è intervenuta anche la psicologa Anna Maria
Giannini che, al microfono di Fabio Colagrande, si sofferma sulle fragilità
che possono portare una persona a cadere nella rete di una setta:
R. – Generalmente,
in determinati passaggi complessi della vita, si è più esposti. Si è più esporti quando
si è adolescenti o nella terza età. Sono a rischio anche persone che hanno subito
gravi traumi, separazioni difficili, lutti. Questi elementi si uniscono ad altri aspetti,
come, per esempio, l’essere isolati, la carenza di valori, l’assenza di reti di riferimento.
Questi fattori creano uno stato di fragilità che predispone la persona ad essere più
recettiva alle attività di manipolazione che poi il guru o il capo setta ben conosce.
D.
– Esistono sette che inizialmente si presentano come gruppi cristiani?
R.
– Purtroppo sì, perché la caratteristica di queste sette è quella di usare qualsiasi
mezzo e di fare ricorso a qualsiasi meccanismo. Avvicinano le persone, facendo riferimento
a volte proprio a valori cristiani. Poi, però, ben presto si rivela che tutto questo
è falso. Immediatamente invocano entità di carattere completamente diverso e sicuramente
non riconoscibili nella Chiesa e non riconoscibili, comunque, nei valori cristiani
o cattolici. Quindi, emerge la triste realtà che c’è dietro: queste persone manipolano
gli altri per i loro scopi. Non hanno in realtà alcun tipo di valore che sia costruttivo
o che sia ispirato all’etica. Cercano soltanto di piegare gli altri alla loro volontà,
di usarli per fini del tutto personali e deleteri per l’altro, per colui che viene
manipolato.
D. – Secondo lei, la cultura diffusa
tra i giovani, alimentata anche dai mezzi di comunicazione, predispone i giovani ad
essere vittime delle sette?
R. – Purtroppo oggi quello
che caratterizza la cultura giovanile è proprio la fragilità dei valori e spesso anche
l’isolamento. I giovani in alcune realtà molto difficilmente hanno contatti interpersonali
profondi o momenti di aggregazione, ispirati alla condivisione di valori profondi.
Per cui questo crea un vuoto. L’assenza di valori, l’assenza di comunicazione profonda,
di amicizie vere e, d’altra parte, la proposizione di valori alternativi effimeri,
crea proprio quelle condizioni di fragilità che aprono la strada a coloro che si presentano
come portatori di una soluzione. E qui trova spazio appunto la “cultura” della setta.