La Chiesa ricorda il quinto anniversario dell'inizio del Ministero Petrino di Benedetto
XVI
Il 24 aprile di cinque anni fa, Benedetto XVI inaugurava il suo Ministero, presiedendo
in una affollatissima Piazza San Pietro la Messa di inizio Pontificato. Nella lunga,
intensa omelia che caratterizzò quella cerimonia, il neo eletto Papa mostrò con chiarezza
quella profondità di pensiero che sarà un tratto distintivo di tutti i suoi successivi
insegnamenti. Alessandro De Carolis ritorna a quella giornata e alle parole
più significative pronunciate dal Pontefice:
(musica)
Un
Papa parla alle anime per definizione. Ma se si vuole sentir parlare l’anima stessa
di un Papa, toccare quasi i suoi sentimenti umani più profondi, i suoi pensieri spirituali
più intimi, c’è un tempo e un luogo irripetibili: la Messa di inizio del Ministero
Petrino, la massima celebrazione nella quale per la prima volta il nuovo Pastore si
mostra al gregge come sua guida suprema. Le parole pronunciate quel giorno sono come
un lampo nel buio, uno squarcio di luce che rivela in un solo istante quanto e più
di ciò che nei giorni successivi, nei mesi e negli anni, assumerà la sostanza e gli
argomenti di un magistero ragionato. In quella particolare celebrazione, il nuovo
Papa offre le primizie della sua anima e della sua umanità, della sua indole e della
sua cultura, in una sintesi tesa a trovare parole per comunicare il mistero privato
che una fumata bianca ha reso universale: l’essere il Vicario di Cristo in terra e,
insieme, il Servo dei servi di Dio; l’alfa e l’omega di un ministero che non ha eguali
al mondo. Anche ad anni di distanza, in quelle primizie è sempre
possibile rintracciare il senso del ministero. Così accade oggi se l’orecchio del
cuore ritorna agli echi di Piazza San Pietro, in quel 24 aprile 2005: “Ed
ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito,
che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado
di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera schiera dei santi,
rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal
modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare
da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di
Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra
indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano”. Anzitutto,
quel giorno, il nuovo Papa comunica alla Chiesa una certezza: sei viva. Sei giovane.
Come quei giovani, e non più tanto giovani, che per giorni, in un gigantesco e paziente
affluente umano, hanno voluto portare l’ultimo bacio e il sussurro di una preghiera
a Giovanni Paolo II. All’ombra del grande Papa adesso c’è un nuovo inizio, dice il
nuovo Papa. E dalla cifra di una personalità per anni descritta con stucchevoli clichè,
attribuibili a un burbero quanto generico “sorvegliante”, si staglia uno sconosciuto
ma autentico tratto caratteriale, l’umiltà: “Il mio vero
programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee,
ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà
del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa
in questa ora della nostra storia”. L’uomo diventato
Papa parla del ruolo del Pastore. E’ un ruolo che richiede una consapevolezza che
lui ha maturato servendo la Chiesa da un vertice che esigeva equilibrio, misura, trasparenza.
Ed è consapevole dell’esistenza di “deserti” umani che fanno spavento e sono conosciuti
– la miseria, la fame – e di abissi interiori che lui e in pochi conoscono: “Vi
è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza
della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo,
perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non
sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano
vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione”. E’
riconosciuto il male, ma anche la direzione della salvezza. Sono la Chiesa e i Pastori,
afferma il nuovo Papa, che “come Cristo devono mettersi in cammino per condurre gli
uomini fuori dal deserto verso l’amicizia con il Figlio di Dio”. Per quello e solo
per quello si è chiamati al sacerdozio, si è cristiani: “Noi
esistiamo, pastori e cristiani, per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede
Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente,
noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione.
Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno
è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti,
sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e
comunicare agli altri l’amicizia con lui”. Altre
parole ispirate, altre immagini che valgono da sole cento omelie (“Noi soffriamo per
la pazienza di Dio” verso chi compie il male, “e nondimeno abbiamo tutti bisogno della
sua pazienza” perché “ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai
suoi crocifissori”). Il nuovo Papa ha appena preso la parola e le sue parole rivelano
una sapienza consumata. Ma il sapiente è, nel più profondo, un uomo umile, ai suoi
primi colpi nella Vigna del Signore. Il nuovo capo di un corpo al quale chiede, e
lo fa ancora oggi, il suo sostegno: “Pregate per me, perché
io impari ad amare sempre più il suo gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi
singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura,
davanti ai lupi”. (musica)