I missionari cristiani speranza per l’India: la testimonianza dell’assassino convertito
di suor Rani
“Sono pienamente responsabile dell’omicidio di un’innocente, una religiosa che voleva
soltanto aiutare i più poveri. Mi pentirò di quanto ho fatto per il resto della mia
vita. Non voglio neanche dire di essere stato istigato: sono state le mie mani a colpire”.
Così Samandar Singh descrive all’agenzia Asianews il suo pentimento per l’assassinio
di suor Rani Maria, 15 anni fa, il 25 febbraio 1995. L’inchiesta diocesana sulla religiosa
della diocesi di Indore, in India, è terminata ed è passata al vaglio del Vaticano
per accertare che si sia trattato di un martirio per la fede. La conversione di Samandar
Singh è stata il primo segno di grazia evidente nel suo radicale cambiamento di vita,
a favore dei tribali cristiani e di tutti gli emarginati. Durante gli 11 anni trascorsi
in carcere, l’uomo è stato visitato dalla madre, dal fratello e dalla sorella di suor
Rani, suor Selmi Paul, che lo hanno abbracciato in segno di perdono. Questo gesto
ha colpito talmente Samandar che ha deciso di abbandonare ogni proposito di vendetta
contro l’uomo che lo aveva spinto ad assassinare la suora. “Prima di spingermi ad
uccidere – ricorda - ho sentito tante falsità intrise d’odio conto i missionari e
i fedeli cristiani. Mi dicevano che convertivano le persone con l’inganno, e che il
loro lavoro fra i poveri era soltanto una copertura. Ma ora posso dire senza alcun
dubbio che i missionari non fanno altro che lavorare e aiutare i poveri e gli emarginati.
Non hanno alcuno scopo segreto, se non quello di servire Dio”. Una volta uscito dal
carcere, grazie ad una petizione firmata dalla famiglia di suor Rani, dalla responsabile
delle suore Clarisse e dal vescovo di Indore, non ha potuto che adoperarsi a favore
dei più bisognosi con grande riconoscenza per i missionari che in terra d’India “danno
speranza con il loro servizio, teso a rendere indipendente e più forte il popolo indù”.
(C.F.)