La Chiesa si stringe attorno a Benedetto XVI per festeggiare i 5 anni di Pontificato
Tra le tante iniziative per celebrare questo anniversario, anche una Giornata di preghiera
per il Papa promossa dalla Conferenza episcopale italiana. La presidenza della Cei
ha invitato tutti i cattolici a stringersi oggi intorno a Benedetto XVI, “centro di
unità e segno visibile di comunione”. Su questi primi 5 anni di Pontificato di Benedetto
XVI, contraddistinti dalla testimonianza mite e ferma della “Carità nella Verità”,
Fabio Colagrande ha intervistato l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente
del Pontificio Consiglio della Cultura. Mons. Ravasi muove la sua riflessione dalla
definizione di “Papa-teologo” che viene usualmente attribuita a Benedetto XVI:
R. – Di solito,
è una cosa che notiamo tutti, è questa definizione di “Papa-teologo” che alla fine
diventa, però, una sorta di etichetta che viene imposta per dire che non è quindi
un Papa che può conoscere la complessità delle situazioni pastorali, ma le vede nell’interno
di un disegno solo generale. Questo termine, riprendiamolo in mano nel senso vero
del termine e scaviamo perciò nelle sue dichiarazioni, per scoprire quanto il rigore
del pensiero comporti, in verità, una vera nuova interpretazione, anche, del reale,
della storia, delle situazioni ecclesiali. Il Papa ci ha ricordato che è necessario
sempre ritornare alle fondazioni. E su questo, credo che sia un grande appello-invito
che viene rivolto ai pastori e viene rivolto ai credenti; appello che si riconnette
ad un lontanissimo, remoto appello che abbiamo nel Nuovo Testamento stesso quando
Pietro scriveva, nella sua Prima Lettera, che i cristiani devono essere capaci di
rendere ragione della speranza che è in loro. E questo lo facciano con dolcezza, con
attenzione, anche contro le provocazioni che ricevono; ma rendere ragione della speranza
vuol dire riconoscere la funzione pastorale, sociale, culturale della fede. D.
– Questo è proprio quello che fa Benedetto XVI come Successore di Pietro… R.
– E’ quello che io vorrei che venisse ancora riscoperto, proprio ritornando qualche
volta di più, meditando, approfondendo proprio la “Spe salvi”, la “Deus caritas est”
e la “Caritas in veritate”, perché lì si vede, nell’interno di tutti questi testi,
che da un lato c’è una riflessione teologica – indubbiamente. Questa riflessione teologica
ha dimensioni molteplici: pensiamo, per esempio, che la “Spe salvi” ha la dimensione
escatologica che è una dimensione fondamentale della teologia stessa, andare oltre
la frontiera del tempo e dello spazio, della storia e del cosmo. Ma dall’altra parte,
soprattutto nella terza Enciclica, “Caritas in veritate”, scoprire come alla fine
la riflessione teologica sia la lampada che illumina i passi nel cammino concreto
della pastorale. Abbiamo bisogno perciò di rifondare in maniera seria, autentica,
ricca l’impegno quotidiano che il credente ha nel mondo e nella storia. Sui
5 anni di Pontificato di Benedetto XVI, Sergio Centofanti ha chiesto un commento
a Sergio Marelli, segretario generale della Focsiv, organismo che riunisce
numerose associazioni del volontariato cristiano:
R. – Sono
sicuramente cinque anni ricchi, caratterizzati da Encicliche che per noi che lavoriamo
nel sociale, in particolare nel sociale con un’attenzione ai fenomeni della mondializzazione,
sono insegnamenti molti importanti. Quindi, forse quando si dice che questo Papa è
un Papa teologo, accademico, si dimentica che è un Papa molto attento ad arricchire,
nella continuità il Magistero della Chiesa, la Dottrina sociale cattolica. E il messaggio
fondamentale che viene da Benedetto XVI credo sia proprio il farsi carico di chi è
più sfortunato, di chi è nella miseria, nella povertà, e questo farsi carico degli
altri, che è il fondamento del nostro agire da cristiani, è la carità.
Ascoltiamo
infine il prof. Francesco D’Agostino, presidente dell'Unione Giuristi Cattolici
Italiani, al microfono di Sergio Centofanti:
R. – La grandezza
del Pontificato di Benedetto XVI non dipende tanto dal fatto che lui abbia utilizzato
il Seggio di Pietro per diffondere la “propria” teologia, ma perché lui ci ha insegnato
a fare teologia e a riflettere sul cristianesimo facendo convergere la nostra attenzione
sul principio del Verbo, il folgorante inizio del Vangelo di San Giovanni: “In principio
era il Verbo” o, per usare l’espressione greca, “In principio era il Logos”. Il Papa,
da quando è salito al Pontificato, ha insistito su questo tema come il messaggio centrale
del suo insegnamento pastorale. Dio non si rivela a noi come assoluto mistero, come
volontà imperscrutabile, esoterica, degna di essere adorata ma incomprensibile: non
è così. Attraverso Gesù Cristo – questo ci ha insegnato il Papa – Dio si è rivelato
come uomo accanto agli uomini, e tutto quello che concerne il mistero di Dio attraverso
Gesù Cristo, anche se non può essere ridotto a formule razionali calibrate sull’intelligenza
umana, non fa violenza a questa stessa intelligenza umana ma le apre un nuovo orizzonte.
Sicuramente, l’infinità dell’amore di Dio è un mistero, ma altrettanto sicuramente
attraverso Gesù Cristo la ragione umana riesce a comprendere che può esserci su questa
terra, nell’esperienza storica, nell’Incarnazione di Gesù di Nazareth un amore che
diventa carne, cioè che assume la nostra veste umana. Io credo che questo insegnamento
sia formidabile perché è costitutivo della fede cristiana, ma nello stesso tempo lancia
un messaggio a tutti gli uomini che è l’unico messaggio che possa garantire quella
fraternità di tutti i popoli che dall’epoca della Rivoluzione francese, è diventato
uno dei principi costitutivi del genere umano, insieme alla libertà ed insieme all’eguaglianza.
Non possiamo separare la fraternità dalla libertà e dall’eguaglianza, ma se vogliamo
dare un fondamento autentico alla fraternità, abbiamo una sola strada da percorrere:
i fratelli sono quelli che si amano come tali perché si riconoscono figli di un Padre
comune. Credo che il Papa continui, giorno per giorno, a mandarci questo insegnamento
che non è il suo insegnamento privato di teologo ma il grande insegnamento pastorale
e, oserei dire, che è la ragione fondamentale per cui esiste il Papato.