Mons. Ravasi: rilanciare il dialogo con i non credenti
“La ragione è una componente che può unire credenti e non credenti. Anche nella nostra
fede, infatti, dobbiamo trovare una coerenza razionale“. E' proprio questa necessità
del dialogo tra Fede e Ragione, secondo l'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente
del Pontificio Consiglio della Cultura, uno degli aspetti centrali del Magistero di
Benedetto XVI, spesso ignorato dai mezzi di comunicazione. In questa prospettiva mons. Ravasi
ha tenuto venerdì scorso una conferenza presso uno dei luoghi simbolo della cultura
scientifica e laica, l'Accademia Nazionale dei Lincei a Roma, dov'è stato chiamato
a parlare sul tema “Religione, Cultura e Società”. Ascoltiamolo al microfono di Fabio
Colagrande: R. – Devo dire
che sono andato con qualche timore e tremore, per usare un’espressione paolina, perché
il contesto non era facile proprio anche per ragioni di tradizioni culturali tante
volte “laiche” in senso stretto … Dall’altra parte, però, devo anche segnalare di
aver scoperto, invece, un ambiente estremamente sensibile e ricettivo: si è attuata
un po’ quella dimensione che ai nostri giorni purtroppo raramente si trova, quella
dell’ascolto, che vuol dire – alla fine – creare un contesto di dialogo e di rapporto
motivato e fondato. D. – Lei è stato chiamato a tenere una conferenza
sul tema “Religione, cultura e società” e ha voluto presentare la specificità della
religione cristiana partendo da alcuni principi: il principio personalista, l’autonomia,
la sussidiarietà … e ancora, la solidarietà, il primato della verità, il principio
dell’utopia. Ecco: perché ha voluto costruire questo schema concettuale per presentare
il rapporto tra religione, cultura e società? R. – Ci sono sostanzialmente
tre ragioni, direi, per questa opzione che ho fatto, naturalmente su un tema che di
sua natura poteva dilagare verso l’infinito, quasi. La prima ragione era quella di
voler identificare non soltanto lo specifico cristiano, ma il contributo radicale,
fondamentale che la religione ha nell’interno della storia dell’umanità, o - se si
vuole - di una società che sia consapevole di se stessa, ed evoluta. Per questo motivo,
ho voluto anche marcare alcune voci che non appartenevano al mondo cristiano: pensiamo
anche ad una delle conclusioni che ho fatto sulla base di una dichiarazione di Gandhi
e della sua spiritualità. Secondo elemento è invece anche lo specifico cristiano.
Pensiamo al concetto di persona: è sicuramente stato elaborato in maniera molto sofisticata
e ricca proprio sulla base dell’eredità ebraico-cristiana, in particolare quella cristiana.
Pensiamo ad esempio al concetto di amore, che è una declinazione più specifica del
concetto universale religioso di solidarietà. Quindi, la seconda dimensione è la dimensione
cristiana come grande, straordinaria eredità. Terza e ultima riflessione, è che questi
valori sono anche fondamentali per costruire autenticamente una cultura e una società. D.
– La conferenza – possiamo dire – si è inquadrata proprio nella volontà del Pontificio
Consiglio della Cultura, di favorire il dialogo tra mondo della Chiesa, mondo della
fede e mondo della ragione, mondo della cultura e della scienza. In questo senso,
uno dei vostri progetti, già recentemente annunciati è quello della costituzione di
una Fondazione denominata “Cortile dei Gentili”: vuole ricordarci un po’ l’idea che
c’è dietro questo progetto, che dovrebbe essere varato nel prossimo autunno? R.
– Innanzitutto, questo progetto ha un punto di partenza quasi – direi – “simbolico”
e quindi reale, anche, ed è il discorso che Benedetto XVI ha tenuto alla Curia in
occasione degli auguri natalizi. In quell’occasione, il Papa ha fatto riferimento
proprio a questo spazio simbolico presente all’interno del Tempio di Gerusalemme,
quello frequentato da Gesù, in cui arrivavano i pagani che erano curiosi di interrogarsi
sul mondo ebraico, sulla sua fede, sul suo culto; stavano e guardavano al di là della
frontiera. Noi, invece, vogliamo che questo “Cortile” accolga prima di tutto coloro
che vogliono interrogare i credenti ma soprattutto che vogliono dialogare con loro.
E il dialogo suppone due “logoi”, due discorsi che si incrociano, che si incontrano
tra di loro, e questi due discorsi hanno al loro interno una loro identità. L’identità
è da conservare, cioè il credente non deve “stingere” la sua fede per cercare di trovare
un sincretismo di base abbastanza vago e generico. Dall’altra parte, anche l’ateo
deve venire con le sue domande che qualche volta sono anche domande provocatorie,
sono persino domande critiche. La storia di questo itinerario che vogliamo ora iniziare,
dirà come si svilupperà perché non sarà sempre facile procedere. E devo anche confessare
che con qualche timore abbiamo lanciato questa proposta, perché il contesto non è
facile: la Chiesa cattolica è tante volte vista in maniera estremamente polemica,
critica – pensiamo alla questione “pedofili”, che è diventata quasi una sorta di vessillo
usata da altri per testimoniare un’avversione, persino! Dobbiamo realisticamente riconoscere
questa situazione, ma dall’altra parte io ho scoperto invece una sensibilità straordinaria
a partire, per esempio, dall’orizzonte nel quale noi inizieremo il nostro itinerario,
cioè il mondo francese.