Haiti: il dramma dei bambini a tre mesi dal terremoto
Sono oltre un milione e 500 mila i bambini ancora a rischio ad Haiti, a tre mesi dal
terremoto. Più di 4.300 strutture scolastiche e 50 centri sanitari sono inagibili.
Lo denunciano l’Ong Save the Children insieme all’Unicef. Secondo i loro ultimi
rapporti, la situazione sta lentamente migliorando. Rimangono però molti problemi
che minacciano il futuro della popolazione dell’isola, come la mancanza di adeguati
servizi igienici e il rischio di violenze contro le donne nei campi di sfollati. Ma
a quanti bambini Save the Children è riuscita a portare aiuto finora? Al microfono
di Valeria Mura ce ne parla il direttore generale dell’associazione, Valerio
Neri:
R. – Siamo
riusciti ad oggi - in tre mesi - a portare aiuto ad almeno 550 mila di questi bambini
e alle relative famiglie. Abbiamo costituito vari campi tendati, in cui i bambini
– sia che abbiano famiglie vicine, sia che abbiano adulti di riferimento, ma anche
che non li abbiano – vengono accolti. Via via, col passare delle settimane, questi
centri vanno sempre più migliorando, da un punto di vista logistico e con l’ausilio
di tende dedicate soprattutto agli ambienti scolastici. Piano piano, tutto sta procedendo
per il meglio. D. – In che senso lei dice che il lavoro sta
procedendo “pian piano”? R. - Io dico “piano piano”, perché
bisogna ammettere che lavorare ad Haiti continua ad essere molto difficile. Si tratta
di uno Stato che era povero già prima, senza strutture amministrative efficienti e
quindi la ricostruzione stessa sta prendendo molto più tempo di quel che sarebbe stato
augurabile e sperabile. Anche noi di "Save the Children" stiamo incontrando più difficoltà
di quel che avremmo voluto nel riuscire ad implementare tutti i nostri programmi.
All’inizio, tutto si è concentrato su Port-au-Prince e le cittadine intorno erano
state un po’ abbandonate: adesso, a tre mesi dal terremoto, gli aiuti sono arrivati
ovunque. D. – Quali sono i problemi più gravi che ancora rimangono
irrisolti? R. - Il problema è che ci sono ancora molti dispersi,
probabilmente persone ormai morte. Rimane poi il problema degli orfani, che sono veramente
tanti: è un problema molto grande, perché ovviamente bisogna cercare di dare un futuro
a questi bambini e questo al di là della possibilità di sistemarli in altri Paesi
attraverso le adozioni internazionali, che pure – augurabilmente – potranno riprendere
correttamente e seriamente in una fase un po' più avanzata. Il problema, ancora, è
curare i tanti feriti. Ci sono tantissimi bambini che hanno perso gli arti e si trovano,
quindi, in una situazione di handicap fisico molto forte. Ci sono bambini che hanno
avuto stress psicologici fortissimi. Questi aspetti psicologici oggi stanno emergendo
sempre più, così come è normale che sia in queste situazioni di emergenza, mano a
mano che la situazione pratica va migliorando. Tengo a dire proprio questo: la situazione
va migliorando, non si sta certo mettendo tutto a posto, perché la situazione ad Haiti
continua ad essere difficile, molto difficile, logisticamente parlando. D.
– Dal punto di vista logistico quali sono le cose più importanti da fare, ancora?
R . - Le ricostruzioni non sono partite, i campi tendati non
sono ancora accettabili e bisogna aumentare la capacità di portare tende, di dare
servizi alla popolazione concentrata nei campi. Bisogna far ripartire l’economica:
anche noi stiamo offrendo denaro alla popolazione per fare tutti i lavori che ci servono,
proprio come "Save the Children", e questo per aiutarla a ripartire economicamente,
almeno con la gestione familiare. Anche questo, però, sta tardando: tutto è molto,
molto, molto difficile in quello scenario. Bisogna, però, anche essere ottimisti,
perché è vero, sì, che le cose stanno andando troppo piano per quello che noi vorremmo,
ma certamente stanno andando nel verso giusto. (Montaggio a cura di Maria
Brigini)