Il Papa ai vescovi brasiliani dell’Amazzonia: i fedeli non siano indifferenti e
passivi, ma cooperino alla vita della Chiesa
Gesù è veramente il cuore del Brasile, da cui viene la forza per tutti gli uomini
e le donne brasiliane nel riconoscersi e aiutarsi come fratelli. E’ quanto ha detto
stamani, in un clima di lode e di gioia pasquale, Benedetto XVI incontrando i vescovi
del Brasile della regione ‘Norte 2’, in visita ad Limina. Con la Luce di Cristo
Risorto – ha affermato il Papa - l’umanità ha superato la morte. Il servizio di Amedeo
Lomonaco:
“Il centro
permanente e la fonte del ministero petrino è nell’Eucaristia, cuore della vita cristiana,
inizio e culmine della missione evangelizzatrice della Chiesa”. Gesù Cristo – sottolinea
il Papa - è “pane vivo per l’umanità” ed è realmente presente nell'ostia e nel calice
consacrati. Ma una minore attenzione a volte data al culto del Santissimo Sacramento
– aggiunge il Pontefice - è segno e causa di “oscuramento” del sentimento cristiano
del Mistero, come accade quando durante la Santa Messa non emerge Gesù, ma una comunità
impegnata in molte cose invece di raccogliersi e lasciarsi attrarre dal Signore.
“Ora,
a atitude primária e essencial do fiel cristão… L'atteggiamento primario
ed essenziale del fedele cristiano che partecipa alla celebrazione liturgica non è
fare, ma ascoltare, aprirsi, ricevere” ...
Ricevere, però, non
significa essere passivi o indifferenti ma cooperare secondo “la genuina natura della
vera Chiesa, che ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e
divina, visibile e dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla
contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina”. Se nella liturgia non emerge
la figura di Cristo – sottolinea il Papa - non avremmo una liturgia cristiana.
“Como
estão distantes de tudo isto quantos, em nome… Come sono distanti
da questo quanti, in nome dell’inculturazione, cadono nel sincretismo introducendo
nella celebrazione della Santa Messa riti presi da altre religioni o da peculiarità
culturali”.
Il mistero eucaristico è un dono troppo grande – afferma
il Santo Padre ricordando le parole di Giovanni Paolo II - per sopportare “ambiguità
e diminuzioni”, particolarmente quando, “spogliato del suo valore sacrificale,
viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale
fraterno”. Il culto non può nascere dalla nostra fantasia, che sarebbe “un
grido nel buio” o una semplice affermazione di sé. “La Chiesa - conclude il Papa -
può celebrare e adorare il Mistero di Cristo presente nell'Eucaristia proprio
perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce”.
“A
Igreja vive desta presença… La Chiesa vive di questa presenza e la
sua ragione di essere e di esistere è di espandere questa presenza al mondo intero”.
Sulle principali sfide per la Chiesa
del Brasile si è soffermato stamani, nel discorso rivolto a Benedetto XVI, il vescovo
prelato di Cametá mons. Jesús María Cizaurre Berdonces, presidente della Conferenza
episcopale regionale ‘Norte 2’. Proprio le grandi sfide dell’Amazzonia in campo ecologico
e sociale saranno al centro oggi anche della conferenza stampa dei vescovi brasiliani
in visita ad Limina. Tra gli interventi, in programma nel pomeriggio nella
Sala Marconi della nostra emittente, anche quello di mons. Carlo Verzeletti,
vescovo di Castanhal che, al microfono di Cristiane Murray, mette l’accento
sulle priorità della sua diocesi, tra cui la formazione dei sacerdoti:
R. – La
nostra sfida è quella di accompagnare, passo per passo, la formazione dei futuri sacerdoti.
Accompagnarli soprattutto nei primi anni della vita sacerdotale, attraverso dei buoni
formatori. La nostra diocesi non ha molti sacerdoti, per cui la vera sfida è riuscire
a preparare sacerdoti che siano formatori dei futuri sacerdoti.
D.
– Che ruolo hanno i giovani, come li coinvolgete?
R.
– Noi abbiamo un impegno pastorale che riesce ad aggregare molti giovani. La sfida,
in questo campo, è di un cammino sistematico di fede e non solo di esperienze isolate.
Il popolo brasiliano è un popolo molto emotivo; bisogna riuscire a passare dalle emozioni
a delle esperienze mirate facendo uso anche di tutti gli altri doni che una persona
ha. Nella mia diocesi io potrei dirmi soddisfatto, perché c’è un lavoro sistematico
organizzato, pianificato, con delle esperienze significative che, in questi anni,
hanno fatto crescere non solo il numero delle vocazioni sacerdotali ma hanno preparato
anche dei laici con una certa grinta dentro la realtà sociale in cui ci troviamo.
D.
– Come convivete con il problema delle sette?
R.
– Le sette sono una presenza molto forte, anche perché occupano uno spazio nei mezzi
di comunicazione altissimo, 24 ore al giorno, con delle proposte di promesse facili,
di miracoli urgenti, di soluzione immediata dei problemi per la gente, soprattutto
per i poveri che cercano la soluzione dei loro problemi immediati. La mia diocesi
è una diocesi nuova, con soli cinque anni di vita; in città abbiamo 220 chiese pentecostali
e 48 chiese cattoliche. Da lì muove il nostro lavoro. Non “facciamo guerra” a nessuno,
perché non serve. Dobbiamo saper dialogare con tutti, ma il nostro lavoro è stato
proprio quello d’insistere su dei piccoli gruppi che si ritrovano intorno alla Parola,
seminati in tutto il territorio. Noi abbiamo migliaia di tanti piccoli gruppi con
10,12, 15 persone in ogni gruppo. Quest’incontro con la parola è quello che li mantiene
fedeli e che li motiva per delle scelte coerenti col Vangelo. Noi dobbiamo insistere
su questa dimensione missionaria, chiara ed esplicita, dei nostri fedeli nella loro
vita normale, per cui non possono perdere nessuna occasione di testimoniare il Vangelo
e di annunciarlo.