Il Papa all’udienza generale: il sacerdote non è omologabile alla cultura dominante
perché non annuncia se stesso ma Cristo
“Quella del sacerdote, non di rado, potrebbe sembrare ‘voce di uno che grida nel deserto’
(Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai
omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare
l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè
che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita
del mondo”. E’ quanto ha detto stamani il Papa nell’udienza generale in Piazza San
Pietro dedicando la catechesi al tema del Ministero ordinato in vista della conclusione
dell’Anno Sacerdotale il prossimo giugno. Il sacerdote – ha ribadito il Papa – non
annuncia se stesso, proprie idee o filosofie, ma Cristo, e nella confusione, nel disorientamento
dei nostri tempi, porta la luce della Parola di Dio, la Luce che è Cristo stesso in
questo nostro mondo. Ecco il testo della catechesi: Cari
amici, in questo periodo pasquale, che ci conduce
alla Pentecoste e ci avvia anche alle celebrazioni di chiusura dell’Anno Sacerdotale,
in programma il 9, 10 e 11 giugno prossimo, mi è caro dedicare ancora alcune riflessioni
al tema del Ministero ordinato, soffermandomi sulla realtà feconda della configurazione
del sacerdote a Cristo Capo, nell’esercizio dei tria munera che riceve, cioè dei tre
uffici di insegnare, santificare e governare. Per
capire che cosa significhi agire in persona Christi Capitis - in persona di Cristo
Capo - da parte del sacerdote, e per capire anche quali conseguenze derivino dal
compito di rappresentare il Signore, specialmente nell’esercizio di questi tre uffici,
bisogna chiarire anzitutto che cosa si intenda per “rappresentanza”. Il sacerdote
rappresenta Cristo. Cosa vuol dire, cosa significa “rappresentare” qualcuno? Nel linguaggio
comune, vuol dire – generalmente - ricevere una delega da una persona per essere presente
al suo posto, parlare e agire al suo posto, perché colui che viene rappresentato è
assente dall’azione concreta. Ci domandiamo: il sacerdote rappresenta il Signore nello
stesso modo? La risposta è no, perché nella Chiesa Cristo non è mai assente, la Chiesa
è il suo corpo vivo e il Capo della Chiesa è lui, presente ed operante in essa. Cristo
non è mai assente, anzi è presente in un modo totalmente libero dai limiti dello spazio
e del tempo, grazie all’evento della Risurrezione, che contempliamo in modo speciale
in questo tempo di Pasqua. Pertanto, il sacerdote
che agisce in persona Christi Capitis e in rappresentanza del Signore, non agisce
mai in nome di un assente, ma nella Persona stessa di Cristo Risorto, che si rende
presente con la sua azione realmente efficace. Agisce realmente e realizza ciò che
il sacerdote non potrebbe fare: la consacrazione del vino e del pane perché siano
realmente presenza del Signore, l’assoluzione dei peccati. Il Signore rende presente
la sua propria azione nella persona che compie tali gesti. Questi tre compiti del
sacerdote - che la Tradizione ha identificato nelle diverse parole di missione del
Signore: insegnare, santificare e governare - nella loro distinzione e nella loro
profonda unità sono una specificazione di questa rappresentazione efficace. Essi sono
in realtà le tre azioni del Cristo risorto, lo stesso che oggi nella Chiesa e nel
mondo insegna e così crea fede, riunisce il suo popolo, crea presenza della verità
e costruisce realmente la comunione della Chiesa universale; e santifica e guida.
Il primo compito del quale
vorrei parlare oggi è il munus docendi, cioè quello di insegnare. Oggi, in piena emergenza
educativa, il munus docendi della Chiesa, esercitato concretamente attraverso il ministero
di ciascun sacerdote, risulta particolarmente importante. Viviamo in una grande confusione
circa le scelte fondamentali della nostra vita e gli interrogativi su che cosa sia
il mondo, da dove viene, dove andiamo, che cosa dobbiamo fare per compiere il bene,
come dobbiamo vivere, quali sono i valori realmente pertinenti. In relazione a tutto
questo esistono tante filosofie contrastanti, che nascono e scompaiono, creando una
confusione circa le decisioni fondamentali, come vivere, perché non sappiamo più,
comunemente, da che cosa e per che cosa siamo fatti e dove andiamo. In questa situazione
si realizza la parola del Signore, che ebbe compassione della folla perché erano come
pecore senza pastore. (cfr Mc 6, 34). Il Signore aveva fatto questa costatazione quando
aveva visto le migliaia di persone che lo seguivano nel deserto perché, nella diversità
delle correnti di quel tempo, non sapevano più quale fosse il vero senso della Scrittura,
che cosa diceva Dio. Il Signore, mosso da compassione, ha interpretato la parola di
Dio, egli stesso è la parola di Dio, e ha dato così un orientamento. Questa è la funzione
in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento
dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo
nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui
stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non
parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie,
proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna
in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola,
il suo modo di vivere e di andare avanti. Per il sacerdote vale quanto Cristo ha detto
di se stesso: “La mia dottrina non è mia” (Gv, 7, 16); Cristo, cioè, non propone se
stesso, ma, da Figlio, è la voce, la parola del Padre. Anche il sacerdote deve sempre
dire e agire così: “la mia dottrina non è mia, non propago le mie idee o quanto mi
piace, ma sono bocca e cuore di Cristo e rendo presente questa unica e comune dottrina,
che ha creato la Chiesa universale e che crea vita eterna”. Questo
fatto, che il sacerdote cioè non inventa, non crea e non proclama proprie idee in
quanto la dottrina che annuncia non è sua, ma di Cristo, non significa, d’altra parte,
che egli sia neutro, quasi come un portavoce che legge un testo di cui, forse, non
si appropria. Anche in questo caso vale il modello di Cristo, il quale ha detto: Io
non sono da me e non vivo per me, ma vengo dal Padre e vivo per il Padre. Perciò,
in questa profonda identificazione, la dottrina di Cristo è quella del Padre e lui
stesso è uno col Padre. Il sacerdote che annuncia la parola di Cristo, la fede della
Chiesa e non le proprie idee, deve anche dire: Io non vivo da me e per me, ma vivo
con Cristo e da Cristo e perciò quanto Cristo ci ha detto diventa mia parola anche
se non è mia. La vita del sacerdote deve identificarsi con Cristo e, in questo modo,
la parola non propria diventa, tuttavia, una parola profondamente personale. Sant’Agostino,
su questo tema, parlando dei sacerdoti, ha detto: “E noi che cosa siamo? Ministri
(di Cristo), suoi servitori; perché quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma
lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi
come voi” (Discorso 229/E, 4). L’insegnamento
che il sacerdote è chiamato ad offrire, le verità della fede, devono essere interiorizzate
e vissute in un intenso cammino spirituale personale, così che realmente il sacerdote
entri in una profonda, interiore comunione con Cristo stesso. Il sacerdote crede,
accoglie e cerca di vivere, prima di tutto come proprio, quanto il Signore ha insegnato
e la Chiesa ha trasmesso, in quel percorso di immedesimazione con il proprio ministero
di cui san Giovanni Maria Vianney è testimone esemplare (cfr Lettera per l’indizione
dell’Anno Sacerdotale). “Uniti nella medesima carità – afferma ancora sant’Agostino
- siamo tutti uditori di colui che è per noi nel cielo l’unico Maestro” (Enarr. in
Ps. 131, 1, 7). Quella del sacerdote, di conseguenza,
non di rado potrebbe sembrare “voce di uno che grida nel deserto” (Mc 1,3), ma proprio
in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile,
ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di
operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente,
è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la
verità, il modo di vivere. Nella preparazione
attenta della predicazione festiva, senza escludere quella feriale, nello sforzo di
formazione catechetica, nelle scuole, nelle istituzioni accademiche e, in modo speciale,
attraverso quel libro non scritto che è la sua stessa vita, il sacerdote è sempre
“docente”, insegna. Ma non con la presunzione di chi impone proprie verità, bensì
con l’umile e lieta certezza di chi ha incontrato la Verità, ne è stato afferrato
e trasformato, e perciò non può fare a meno di annunciarla. Il sacerdozio, infatti,
nessuno lo può scegliere da sé, non è un modo per raggiungere una sicurezza nella
vita, per conquistare una posizione sociale: nessuno può darselo, né cercarlo da sé.
Il sacerdozio è risposta alla chiamata del Signore, alla sua volontà, per diventare
annunciatori non di una verità personale, ma della sua verità. Cari
confratelli sacerdoti, il Popolo cristiano domanda di ascoltare dai nostri insegnamenti
la genuina dottrina ecclesiale, attraverso la quale poter rinnovare l’incontro con
Cristo che dona la gioia, la pace, la salvezza. La Sacra Scrittura, gli scritti dei
Padri e dei Dottori della Chiesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica costituiscono,
a tale riguardo, dei punti di riferimento imprescindibili nell’esercizio del munus
docendi, così essenziale per la conversione, il cammino di fede e la salvezza degli
uomini. “Ordinazione sacerdotale significa: essere immersi [...] nella Verità” (Omelia
per la Messa Crismale, 9 aprile 2009), quella Verità che non è semplicemente un concetto
o un insieme di idee da trasmettere e assimilare, ma che è la Persona di Cristo, con
la quale, per la quale e nella quale vivere e così, necessariamente, nasce anche l’attualità
e la comprensibilità dell’annuncio. Solo questa consapevolezza di una Verità fatta
Persona nell’Incarnazione del Figlio giustifica il mandato missionario: “Andate in
tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Solo se è la
Verità è destinato ad ogni creatura, non è una imposizione di qualcosa, ma l’apertura
del cuore a ciò per cui è creato. Cari fratelli
e sorelle, il Signore ha affidato ai Sacerdoti un grande compito: essere annunciatori
della Sua Parola, della Verità che salva; essere sua voce nel mondo per portare ciò
che giova al vero bene delle anime e all’autentico cammino di fede (cfr 1Cor 6,12).
San Giovanni Maria Vianney sia di esempio per tutti i Sacerdoti. Egli era uomo di
grande sapienza ed eroica forza nel resistere alle pressioni culturali e sociali del
suo tempo per poter condurre le anime a Dio: semplicità, fedeltà ed immediatezza erano
le caratteristiche essenziali della sua predicazione, trasparenza della sua fede e
della sua santità. Il Popolo cristiano ne era edificato e, come accade per gli autentici
maestri di ogni tempo, vi riconosceva la luce della Verità. Vi riconosceva, in definitiva,
ciò che si dovrebbe sempre riconoscere in un sacerdote: la voce del Buon Pastore.