Appello dalla Terra Santa: ridare speranza ai palestinesi cristiani
In anteprima per l’Italia, viene presentato oggi pomeriggio a Verona l’appello dei
cristiani di Terra Santa "Kairos Palestina", frutto di un lungo lavoro delle Chiese
cristiane per rispondere alla situazione sempre più drammatica in cui versa la regione
mediorientale. Alla conferenza di presentazione dell’iniziativa, promossa da Pax Christi
e Tavolo Terra Santa, intervengono padre Raed Abushalia, parroco a Taybeh, cittadina
tra Gerusalemme e Ramallah, e Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana.
Al microfono di Giada Aquilino, padre Raed Abushalia spiega cos’è “Kairos
Palestina”:
R. – Questo
documento è stato lanciato l’11 dicembre 2009, prima di Natale, da teologi palestinesi,
che hanno voluto lanciare un grido al mondo a nome dei palestinesi cristiani su quanto
sta accadendo in Palestina, chiedendo la fine dell’occupazione e di questo conflitto.
D.
– Quindi sono i cristiani palestinesi a parlare …
R.
– Sì, sono capi religiosi e laici palestinesi, arabi e cristiani che hanno lanciato
questo grido, simile a quello che si alzò in Sudafrica nel 1985, chiamato “Kairos
Sudafrica”, affinché finisse il regime dell’apartheid. Tutti i capi, patriarchi e
i vescovi, della Chiesa di Gerusalemme hanno approvato poi una lettera, dal titolo:
“Abbiamo sentito il grido dei nostri figli”. Questa lettera è stata firmata dal patriarca
Fouad Twal, dal patriarca ortodosso, dal patriarca armeno e da tutte le altre Chiese.
D.
– Qual è la realtà nei Territori oggi?
R. – Il primo
capitolo di questo documento parla della situazione generale: tutto sembra essere
calmo, adesso, ma non c’è progresso, non si vede una via d’uscita. Si parla della
privazione della libertà, dell’occupazione, del muro di separazione, degli insediamenti
israeliani, della mancanza di libertà religiosa, dei profughi, dei prigionieri. A
Gerusalemme succede di tutto: c’è l’emigrazione dei cristiani, non c’è un negoziato,
c’è il conflitto interno tra Fatah e Hamas a Gaza, c’è la separazione tra Striscia
di Gaza e Cisgiordania. La situazione è confusa. L’appello “Kairos” è stato lanciato
come una parola di fede, una parola di speranza e una parola d’amore.
D.
– Lei è parroco in una cittadina completamente cristiana, l’ultima di Terra Santa.
Come vivono i fedeli?
R. – Sono parroco di Taybeh-Efraim,
il piccolo villaggio dove Gesù si recò prima della sua Passione, e da allora è rimasto
l’unico e l’ultimo villaggio interamente cristiano. E’ un luogo che ha anche sofferto
molte emigrazioni: gli abitanti erano 3.400 negli anni Sessanta e ora siamo rimasti
in 1.300. Questo vuol dire che abbiamo molti cristiani del villaggio che vivono un
po’ dappertutto nel mondo: negli Stati Uniti, in Guatemala, in Cile, in Brasile, in
Giordania, a Gerusalemme, nei Paesi del Golfo, in Australia e in Canada. Ciò a causa
di quest’instabilità politica che ha portato anche ad un’instabilità economica: c’è
una disoccupazione che arriva al 30-40 per cento. Inoltre, ora che esiste questo muro
di separazione, gli abitanti non possono neanche andare a Gerusalemme per le feste
di Pasqua o di Natale. Serve un permesso che non è facilmente concesso. Noi cerchiamo
di trovare posti di lavoro per queste persone e abbiamo lanciato una serie d’iniziative,
anche economiche, per dare un impiego. La nostra preoccupazione è incoraggiare quelli
che sono rimasti a restare in Terra Santa. Perciò lancio quest’appello a tutti e dico
prima di tutto che la responsabilità della presenza cristiana in Terra Santa non è
soltanto dei cristiani della Terra Santa ma è di tutti i cristiani del mondo e di
tutte le Chiese del mondo, perché la loro fede è nata lì, a Gerusalemme. Lancio poi
anche un altro appello per il ritorno dei pellegrini: “Venite, non abbiate paura e
non lasciateci da soli”. Quando avremo pace a Gerusalemme ci sarà pace in tutto il
mondo, quando avremo la pace in Terra Santa, la Terra Santa sarà il Paradiso del mondo.