In Rwanda 16.mo anniversario del genocidio. Ban Ki-moon: “Perseguire i colpevoli”
Sedici anni fa il Rwanda è stato teatro del genocidio costato la vita a quasi 1 milione
di persone nel giro di 100 giorni. Un anniversario terribile che si commemora in questi
giorni. Fare “memoria” di tutte le vittime e rivolgere un pensiero “anche ai superstiti”
è l’invito del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che ha chiesto
agli Stati membri di cooperare con il Tribunale Penale per il Rwanda per “arrestare
e consegnare gli ultimi 11 latitanti”. Padre Aurelio Boscaini, missionario
comboniano ed esperto di Africa, ripercorre i momenti che portarono a quella tragedia
nell’intervista di Roberta Rizzo: R.
– Il genocidio ha avuto inizio il 6 aprile del 1994, in seguito all’abbattimento dell’aereo
su cui viaggiava il presidente rwandese, Juvenal Habyarimana. Con lui
c’era anche il presidente burundese, un’altra illustre vittima. Subito si scatenò
la caccia al tutsi. Certamente - ormai credo che ne abbiamo le prove - era stato preparato
da tempo e fu una cosa terribile. Essenzialmente i massacri vennero operati con mezzi
rudimentali, come il machete, il ronco, l’accetta. Se l’orrore difficilmente è immaginabile,
credo che a noi interessi anche fare in modo che almeno si chiariscano le cifre, per
essere rispettosi nei confronti anche delle vittime che non erano di etnia tutsi
D.
– Una tragedia che si poteva evitare?
R. – Le forze
dell’Onu avrebbero dovuto, innanzitutto, restare nel Paese 20 giorni dopo il genocidio.
Le Nazioni Unite, invece, hanno deciso di ritirare i propri uomini mentre il Rwanda
precipitava nel caos.
D. – I Paesi della regione
hanno compiuto un progresso significativo, siglando lo storico patto per la sicurezza
nella regione dei Grandi Laghi, che include quindi un protocollo di prevenzione del
genocidio…
R. – Credo che sia importante che il reato
di genocidio venga riconosciuto e che vengano puniti veramente gli autori del genocidio.
Anche tra chi attualmente detiene il potere è che è entrato in Rwanda dall’Uganda
dove si trovavano come profughi da una ventina di anni. Questi hanno preso il potere
e fin dall’inizio hanno nascosto il loro ruolo durante il genocidio. Non va mai dimenticato
che i morti ci sono stati da tutte le parti, in tutte le regioni del Paese. Drammatiche
violenze hanno scosso anche zone sotto controllo del Fronte di liberazione del Rwanda,
i cui rappresentanti detengono oggi il potere in Rwanda. Queste autorità non desiderano
assolutamente rimettere in discussione il genocidio, che è diventata l’arma principale
oggi per impedire una democratizzazione del Paese.
D.
– Il Rwanda come affronta questa terribile eredità?
R.
– Si sta preparando a delle elezioni presidenziali. L’attuale presidente Kagame si
ripresenta come candidato. A contendergli la massima carica di Stato non ci sarebbe
che una candidata, Victoire Ingabire, rientrata a gennaio dopo 17 anni
di esilio in Olanda. Ingabire ha subito detto che bisogna dare voce agli altri crimini
contro l’umanità, soprattutto cercando di fare giustizia per vittime e appartenenti
dell’etnia hutu. Questo è bastato perché venisse convocata dalla polizia, tacciata
di negazionismo. Fin quando non si cercherà veramente giustizia e verità, sarà difficile
per il Paese una riconciliazione.