Verso l'Ostensione della Sindone: intervista con mons. Ghiberti
Si aprirà dopodomani, sabato 10 aprile, nel Duomo di Torino, l’Ostensione della Santa
Sindone, in programma fino al 23 maggio prossimo; un evento che arriva dieci anni
dopo l’ultima esposizione in occasione del Giubileo del 2000. Benedetto XVI giungerà
nel capoluogo piemontese il 2 maggio. Sono attesi 2 milioni di pellegrini da tutto
il mondo. Secondo mons. Giuseppe Ghiberti, presidente della Commissione diocesana
per la Sindone, riguardo al ‘Sacro Lino’ la prima domanda che ci si dovrebbe porre
è: perché ci è stata data? Ascoltiamolo al microfono di Fabio Colagrande:
R. - Guardando
la Sindone nella sua realtà, siccome è l’immagine di una pena che ha portato alla
morte un povero giustiziato con la tortura della crocifissione - e c’è una corrispondenza
fortissima tra quello che viene narrato da queste immagini e ciò che leggiamo nei
Vangeli sulla Passione di Gesù - la risposta che sembra proprio imposta dalla realtà
stessa è che il Signore ci dia questo segno per la sofferenza del Figlio suo perché
ci rendiamo conto di quanto grande è stato il suo amore per noi. Di fatto tutti i
particolari che vediamo sulla Sindone sono uno specchio di quello che il Vangelo enuncia,
solo che il Vangelo dice le cose con molta velocità e senza commento qui, invece,
si vedono nella loro crudezza addirittura analitica e, quindi, sembra proprio che
ci sia una complementarietà tra i due messaggi, anche se evidentemente il Vangelo
è parola ispirata e questo, invece, è un regalo che il Signore ci fa. Non riusciamo
nemmeno a definirlo bene ma che le cose stiano in questi termini per l’oggetto della
comunicazione è innegabile.
D. - Ecco, ma qual è
la posizione della Chiesa cattolica circa il fatto che la Sindone sia o no realmente
il telo che avvolse Gesù dopo la sua morte?
R. -
La posizione della Chiesa cattolica è molto prudente - mi pare - a questo riguardo.
Da una parte c’è la piena accondiscendenza a un culto, c’è la considerazione della
potenzialità evangelica che proviene dal suo messaggio, e dall’altra parte la parola
di Papa Giovanni Paolo II è stata di lasciare alla scienza ciò che è della scienza
e, quindi, il compito di rispondere alle due famose domande della sindonologia: la
prima riguarda l’età di questo telo e la seconda riguarda la modalità di formazione
di questa misteriosissima e, per ora, inimitabile immagine. Quindi, nel rispetto della
reciproca competenza c’è la consapevolezza da una parte dell’autonomia del rapporto
religioso nei confronti della Sindone perché la constatazione del fatto che ciò che
Gesù ha sofferto sulla Sindone è espresso, è raffigurato in una maniera fedele, è
precedente a qualsiasi discorso scientifico. Dall’altra parte c’è l’interesse - si
capisce - per la ricerca della scienza perché ciò che è prescientifico non è antiscientifico
e allora alla scienza si domanda la luce che in questo momento non è ancora completa.
D.
- Mons. Ghiberti, lei ha avuto il privilegio di contemplare a lungo la Sindone: che
cosa si prova?
R. - Non è una visione gratificante
perché è proprio soltanto lo spettacolo della sofferenza che ti viene incontro e la
sofferenza a guardarla non è una soddisfazione, anzi, più si cerca di immedesimarci
nello spettacolo che sta davanti agli occhi, che ti sta entrando nel cuore, e più
partecipi della tribolazione. Anche perché la seconda riflessione che uno fa, cioè
quale coinvolgimento la mia persona ha con questo mistero, non lascia molto tranquilli
perché viene subito in mente: è morto per i nostri peccati, per i miei peccati e,
quindi, da questo punto di vista si può dire che è un cibo duro quello che offre il
contatto con la Sindone. Però è anche tanto consolante il fatto di vedere gente che
se ne va con le lacrime agli occhi e non sono reazioni di tipo soltanto superficialmente
emotivo, ma ci dice che il dialogo attraverso questo segno con il mistero della redenzione
è molto forte.