2010-04-08 14:31:20

Rivolta in Kirghizistan: la Russia riconosce il nuovo governo


Rivoluzione lampo in Kirghizistan. Le proteste popolari, sfociate ieri in gravissimi scontri con la polizia, hanno provocato nella capitale Bishkek ed in altri centri del Paese almeno 75 morti e un migliaio di feriti. In seguito ai rivolgimenti, il presidente Bakiev si è rifugiato nella città meridionale di Osh ed il governo ha dato le dimissioni. E’ stato creato un nuovo esecutivo provvisorio di “fiducia popolare”, guidato dall’ex ministro degli Esteri, la signora Roza Otunbaieva, che ha annunciato una nuova Costituzione ed elezioni presidenziali entro sei mesi “conformi a tutte le regole democratiche”. Il governo provvisorio è stato riconosciuto dalla Russia, dopo una telefonata tra il premier di Mosca Putin e la Otunbaieva. Da domani sarà a Bishkek un inviato dell’Onu. Ma quali gli effetti di questa rivolta? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vicedirettore di "Famiglia Cristiana", esperto dell’area ex sovietica:RealAudioMP3

R. – E’ difficile dirlo, anche perché il Kirghizistan ha ormai una lunga tradizione di rovesciamenti, di inquietudini, di governi instabili, di presidenti che si impossessano del potere e poi sono costretti a lasciarlo. Io credo che, alla fine, paradossalmente, la conseguenza forse più probabile dei rivolgimenti di questi giorni, sia invece una certa stabilità di fondo, anche per le caratteristiche geografiche ed economiche del Paese. Questo è un Paese bloccato tra le opposte esigenze della Russia e degli Stati Uniti e, in qualche modo, altrettanto bloccato dalla sua composizione economica. E’ un Paese dove l’agricoltura è ancora fondamentale, ma altrettanto fondamentale è il settore energetico, il quale non può vivere se non di relazioni internazionali.
 
D. – Cambieranno in qualche modo i rapporti con le grandi potenze, tra le quali anche la Cina, con la quale il Kirghizistan confina?
 
R. – Io non credo che un nuovo governo possa reinventarsi equilibri radicalmente diversi da quelli attuali. Gli Stati Uniti hanno una base militare a Manas, che è l’immediata retrovia delle operazioni in Afghanistan. Lo stesso dicasi per la Russia che, tra l’altro, con il Kirghizistan ha degli accordi importanti per le forniture di gas. Più silenzioso è il rapporto con la Cina, ma altrettanto essenziale, perché la Cina è un’acquirente di risorse energetiche notevole, è un’acquirente che paga subito e bene e che ha in progetto anche la costruzione di infrastrutture, per garantire a sé le forniture energetiche, ma evidentemente anche per fornire il Kirghizistan di gasdotti e attrezzature che il Paese da solo non potrebbe costruire. Quindi, io credo che la questione del Kirghizistan sia tutta interna.
 
D. – La realtà kirghiza non rientra, dunque, in quella situazione di forte destabilizzazione che invece abbiamo visto in molte repubbliche ex sovietiche, soprattutto del Caucaso. Ha, quindi, cause proprie?
 
R. - Io direi di sì, anche perché il Kirghizistan per un certo periodo era stato addirittura considerato una sorta di esempio per le altre repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Credo che valga la pena notare che si compie con questa rivolta di piazza, con le dimissioni dei vertici, la parabola negativa di un’altra delle rivoluzioni che avevano fatto sperare in una svolta realmente democratica; rivoluzioni sì cruente, ma non cruentissime, come era successo per esempio in Ucraina. Si era molto sperato, ma questi governi, che si sono insediati in quel modo, si sono rivelati poi, per certi versi, addirittura peggiori di quelli che hanno sostituito.







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